Nel 2012 la cifra stanziata è pari a 95,7 milioni di euro. Un monte aiuti che poteva essere ben minore se nell’ultima legge di Stabilità non fosse stato rimpinguato di 45 milioni
Evergreen della polemica politica, il finanziamento statale all’editoria non è stato mai amato dall’opinione pubblica. Non a torto in verità, se si pensa a casi come quello de L’Avanti di Valter Lavitola che non hanno certamente contribuito a migliorarne la percezione. Mercoledì il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Paolo Peluffo, che ha la delega all’editoria e ha messo la firma sul decreto di riordino dei contributi, è tornato sull’argomento. Peluffo ha elogiato la sua riforma, che è “molto diversa da quelle di un anno fa” e rende l’Italia il Paese europeo con “il più modesto sostegno pubblico”, che si giova adesso di “un’opera di trasparenza, semplificazione e moralizzazione”.
Ma a quanto ammonta, e a chi vanno a finire i soldi? Pochi o tanti che siano, è sempre lecito chiederselo, visti i pregressi. Nel 2012 la cifra stanziata per i contributi all’editoria è pari a 95,7 milioni di euro, che saranno riscossi dagli editori entro fine anno, dopo che le domande e la relativa documentazione saranno passate al vaglio dal dipartimento all’Editoria. Un monte aiuti che poteva essere ben minore se nell’ultima legge di Stabilità non fosse stato rimpinguato di 45 milioni di euro grazie a un emendamento. Questa cifra è in calo rispetto ai 104 milioni dei 2011, già inferiore al 2010 (149,6 milioni) e lontanissima dai 700 milioni di euro del 2007. Si potrebbe dire che allora si brindava a champagne, oggi ci si “accontenta” del prosecco.
Tanti? Pochi? In Francia, ha riferito Peluffo, i fondi pubblici al settore sono arrivati a quota 1 miliardo e 200 milioni, in Italia sono scesi a circa 150 milioni, che comprendono una cinquantina di milioni di euro di contributi pregressi per le spedizioni postali ora scomparsi ma ancora da saldare. Tolti questi, si torna vicino ai 95 milioni. Ma non si tratta solo di torta che si stringe, peraltro in un momento in cui il settore editoriale vive la maggiore crisi da quando è diventato un’industria (e il caso Rcs rappresenta la punta dell’iceberg). Innanzitutto rispetto alla situazione ante 2009 la cifra stanziata è interamente coperta e rappresenta il massimale da suddividere tra gli editori. Una volta, quando la copertura non era totale, si creava un debito in capo allo stato che si trascinava negli anni a venire e che è stato estinto solo nel 2010, fanno sapere dal dipartimento.
Sono cambiate le basi di calcolo, per cui non conta più la tiratura ma un rapporto tra copie vendute ed effettivamente distribuite che deve essere pari ad almeno il 25 per cento. Sono escluse poi le cosiddette vendite in blocco, spesso sottocosto. In altri termini non basta più stampare copie ma devono essere distribuite effettivamente alle edicole e, almeno in parte vendute a reali lettori. Si fa poi più stringente anche la verifica dei costi effettivamente sostenuti per le voci che entrano nel rimborso: non più solo dati di bilancio, ma verifica che le fatture e gli altri costi (stipendi dei giornalisti, ad esempio) siano state effettivamente pagate. Nessuna sovraffatturazione è quindi ammessa, anche se il dipartimento non ha facoltà di procedere ad ispezioni. Ma può legittimamente segnalare alla Guardia di Finanza i casi sospetti, come fu per Lavatola che si è visto confiscare 2,5 milioni relativi al 2010.
In teoria la situazione dovrebbe essere migliorata, non fosse altro che perché la torta si è ridotta sensibilmente. Ma scorrendo i nomi dei beneficiari del contributo del 2011, circa 220 entità tra cooperative, fondazioni, enti ecclesiastici, giornali di partito e organi di stampa per gli italiani all’estero, qualche dubbio sulla validità di questi contributi viene. Testate come L’ago e il filo (67mila euro circa), Paneacqua (61mila euro circa), Motocross (263mila euro circa), Suono stereo Hi Fi (109mila euro circa), Car Audio & Fm (189mila euro circa) per citarne solo alcune, fanno storcere un po’ il naso.
La questione ‘contenuti da sovvenzionare’ è stata dibattuta, ma non è di facile risoluzione perché potrebbe essere vista come una forma strisciante di censura. Le testate politiche, con l’Unità che ha preso 3,7 milioni, La Padania a 2,6 milioni ed Europa a 2,3 milioni, hanno anch’esse dovuto stringere la cinghia rispetto agli anni passati, mentre tra gli esclusi celebri degli ultimi anni c’è la coppia Libero – Riformista (quest’ultimo chiuso) riferibili all’editore Angelucci, che hanno perso il diritto all’incentivo.