Il gruppo regionale dei democratici ha preferito affidarsi al presidente dell'assemblea regionale invece che al rottamatore per guidare la delegazione che contribuirà a eleggere il successore di Napolitano. Ma da Verona, il sindaco di Firenze incassa parole importanti dal suo collega leghista
Matteo Renzi non sarà tra i grandi elettori del capo dello Stato. Il gruppo regionale del Pd ha preferito al sindaco di Firenze la nomina più istituzionale di Alberto Monaci, presidente in carica dell’assemblea toscana. La decisione è stata adottata con due soli voti di scarto, 12 a 10, al termine di una riunione fiume protrattasi per l’intera giornata di martedì.
Ufficialmente il sindaco di Firenze sembra non averla presa male, pur riconoscendo che a eleggere il prossimo presidente ci sarebbe andato volentieri. In verità tra i renziani si è subito diffuso il malumore per l’ennesimo sgambetto da parte della nomenclatura di partito dopo la sconfitta alle primarie resa ancor più bruciante dal fatto che Bersani non abbia vinto le successive elezioni politiche. Anche se forse rimanendo a Firenze Renzi potrebbe togliersi dall’impaccio di dover guidare i propri parlamentari a una decisione poco in sintonia con l’immagine di rottamatore che ha costruito negli anni.
Il sindaco era partito alla carica nei giorni scorsi, dopo aver fiutato che la mossa di Napolitano di incaricare dieci saggi potesse essere un modo per dilazionare i tempi e ‘congelare’ l’incarico a Bersani in attesa di un nuovo presidente come Romano Prodi, eletto a maggioranza dal Pd più magari qualche dissidente 5 Stelle, che lo mandasse alla Camere, e in particolare al Senato, magari a prendere la fiducia da una maggioranza analoga a quella dei grandi elettori. La prospettiva di un Bersani in carica è infatti la più avversata da Renzi, che punta a nuove elezioni con nuove primarie da cui uscire leader. Per questo il sindaco aveva pensato anche di guidare la pattuglia dei 51 parlamentari (9 senatori e 42 deputati) che fanno riferimento a lui, ottenendo in questo senso anche aperture dal resto del partito, oltre che da socialisti e Idv della Toscana. Anche se al saldo finale la prospettiva di elezioni è più vicina con un presidente eletto a maggioranza dal Pd come temeva Renzi che con larghe intese, le quali certo non avvalorerebbero il profilo di rottamatore.
Ieri mattina la riunione del gruppo Pd è durata per tutta la giornata, con solo una breve interruzione per il pranzo in occasione della quale il presidente Enrico Rossi ha lasciato palazzo Panciatichi. Il governatore si era detto favorevole a Renzi. A patto però che “il gruppo lo votasse compattamente e che Renzi chiedesse al centrodestra di non indicare il suo nome sulla scheda”. Inoltre Rossi aveva chiesto che Monaci, assente da alcuni giorni per malattia, fosse consultato prima di prendere la decisione. Nessuno è riuscito a parlare col diretto interessato, che però si è fatto vivo a metà pomeriggio con un sms, dichiarandosi “disponibile ad andare a Roma”. A quel punto le perplessità hanno preso il sopravvento e alla conta finale Renzi è andato sotto di due voti rispetto a Monaci: ex dc senese di lungo corso, riconfermato alla guida dell’assemblea a metà mandato, ma in rotta con gran parte del partito dopo la ribellione di Siena che portò alle dimissioni dell’ex sindaco Ceccuzzi per la mancata approvazione del bilancio comunale da parte di una pattuglia di monaciani.
“Dopo una lunga discussione, abbastanza pacata ma nel merito, il gruppo ha ritenuto di esprimersi a favore di una proposta istituzionale – ha spiegato al termine il neo-capogruppo Marco Ruggeri – Quindi ci saranno la candidatura del presidente Monaci, del presidente Rossi e poi ci sarà, ovviamente, una proposta da parte dell’opposizione”. Ruggeri ha precisato di “essersi personalmente espresso, durante la riunione, per la proposta Renzi”. Tuttavia la proposta di votare per il sindaco di Firenze sarebbe “tramontata perché all’interno del gruppo è stata preferita una proposta istituzionale rispetto a una proposta politica: Renzi era la principale proposta politica; si è valutata questa opzione, ma poi è stata scelta quella istituzionale”.
Dal Vinitaly Renzi non ha commentato. Lo ha fatto al posto suo il consigliere regionale Enzo Brogi, secondo cui la sua bocciatura è “inversamente proporzionale alla grande maggioranza dei cittadini toscani”. E anche per il senatore Andrea Marcucci “il Pd della Toscana ha perso l’occasione, con la mancata indicazione di Renzi tra i grandi elettori, di essere sintonizzato con il proprio popolo”. Il primo cittadino fiorentino, tuttavia, si è ‘consolato’ con le parole di apprezzamento del sindaco di Verona Flavio Tosi. “Mi piace la sua concretezza, può guidare un governo” ha detto l’esponente leghista. Parole importanti, che potrebbero aprire scenari finora inesplorati.