“Dopo ormai due anni di genialità e fermento, il nostro amico Harpo è fuggito lasciando le pentole sul fuoco e certamente convinto di averci tirato uno dei suoi scherzi fatidici ha appeso un biglietto sul frigorifero: “Ciao belli, me ne vado a Honolulu, ho appena puntato la sveglia, fra poco è cotto, mi piacerebbe aspettare ancora un po’ ma mi è venuta voglia di samorè, vi lascio il rock all’italiana, non ingozzatevi.” Harpo maledetto, questa ce l’aspettavamo, ma non sperare di passarla liscia, con i soldi di questo business ci compreremo un biglietto e ti raggiungeremo con la nostra musica sulle palme. Per il momento cuciniamo vinile con i rumori del nostro bel paese ed è quindi logico apporre un solo marchio di fabbrica che ne difenda in patria e all’estero la sua assoluta genialità. Da oggi ci chiamiamo Italian Records”.
Eccolo il comunicato col quale, Oderso Rubini e i suoi compagni di viaggio dell’epoca, si accingevano – nella primavera del 1980 – a fare della Italian Records, l’erede naturale di quell’avventura musicale – ma non solo – che rispondeva al nome di Harpo’s Bazar.
Quel primo comunicato stampa della neonata etichetta sanciva il definitivo passaggio da quell’artigianato creativo, arruffone, ingenuo ma anche estremamente produttivo della cooperativa Harpo’s Bazaar, alla cosiddetta era industriale dell’Expanded Music srl.
Di acqua sotto i ponti ne è passata da allora, e tantissimi – con diverse fortune – sono gli artisti italiani che grazie alla Italian Records hanno spiccato il volo. E lo hanno fatto da Bologna, la città dalla quale arrivando si partiva, chissà se oggi è ancora così…
“Oggi è diverso ma sotto un certo aspetto questa più che una zavorra è per noi una sfida – ci dice Oderso Rubini in occasione della presentazione della raccolta dei primi quattro anni di singoli targati Italian (Italian Records 1980-1984: The 7” Single Collection) – volevamo prima di tutto raccogliere la nostra partenza perché dalle partenze si capiscono tante cose, e perché questo patrimonio di quattro anni di singoli rappresenta una delle più belle e coraggiose avventure della musica nata sotto le due torri. E noi di questa città, con tutti i suoi difetti, non ci dimentichiamo”.
La prima cosa da non dimenticare di un’epoca sono i nomi e cognomi, facciamone alcuni che ritroveremo in questa collection (impreziosita dalle copertine originali e altre sorprese per collezionisti) Luthi Croma, Wind Open, Gaznevada, Confusional Quartet, Diaframma, Stupid Set, N.O.I.A., Neon, Kirlian Kamera, Aphaville, Johnson Righeria, Paul Sears, Rats, Clito e tanti altri.
Ma perché raccogliere adesso i singoli che vanno dall’80 all’84?
“Perché questa musica è più viva che mai e oltre che circolare fra gli appassionati in Italia, stanno iniziando ad arrivare ordini da ogni parte del mondo, collezionisti certo ma non solo, anche giovani, e insospettabili fruitori di altri generi sembrano aver compreso il valore di quell’esperienza”.
Qual’era dunque il valore di quegli anni?
“Era un diverso modo pensare la città e la comunità, che rendeva diverso il nostro stare insieme, un’atmosfera vorrei dire, così vera – nel bene e nel male certo – e prolifica che era poi impossibile per molti noi, non aver voglia di condividerla e restituirla ovviamente, nel nostro caso, sotto forma di musica…”.
Cosa fa oggi la città, intesa come istituzioni culturali ma non solo, per tener viva la memoria del laboratorio musicale che siamo stati?
“Direi nulla ma se vuoi diciamo poco. A dispetto della vitalità che (sotto certi aspetti) anche oggi non manca, non siamo in grado di creare quel distretto della musica, quel polo targato Bologna che fu invece un nostro marchio vincente dell’epoca. Sembra quasi ci sia paura a pronunciare la parola Bologna”.
Come se il terrore di provincializzarsi non sia – esso stesso – il peggiore dei provincialismi…
“Proprio così, è anche per questo che oggi si direbbe che non facciamo sistema ed è un vero peccato perché i soldi non sarebbero il più grande ostacolo (facemmo tutto con poco all’epoca saremmo in grado di riprovarci oggi). Ecco perché di cosa eravamo e del perché lo siamo stati (una mostra fotografica su quegli anni?) vorrei continuare ad occuparmene io. Perché l’impressione è che se questo non accade presto ce lo dimenticheremo”.
Per chi c’era sarebbe un peccato. E anche per chi non c’era.