Ieri, in udienza al processo di appello, Carlo Cosco, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio della sua compagna Lea Garofalo, ha dichiarato spontaneamente la sua confessione, per la prima volta, e così la sua colpevolezza: “Io adoro mia figlia, merito il suo odio perché ho ucciso sua madre. E guai a chi sfiora mia figlia, prego di ottenere un giorno il suo perdono” ha detto in aula.
La storia di Carlo Cosco è davvero esemplare per comprendere i meccanismi con cui la ‘ndrangheta si è insediata al Nord. Lea Garofalo infatti faceva parte di un’importante famiglia di ’ndrangheta di Petilia Policastro, nel Crotonese. Nel 1990 la sua, insieme ad altre tre famiglie, è stata introdotta da Franco Coco Trovato e Giuseppe De Stefano in persona, boss di una delle più importanti cosche di ‘ndrangheta di tutti i tempi, nel corso di alcune cene in un ristorante del paese calabrese, a gestire tutto il mercato dell’eroina prima e della cocaina poi nelle zone milanesi di corso Como, piazzale Baiamonti, via Paolo Sarpi, Arco della Pace, cimitero Monumental. La zona per lo spaccio di droga più redditizia della città, e una delle più redditizie al mondo. Ogni fine settimana, per la cosca che avrebbe gestito l’area, ci sarebbe stata una montagna di denaro.
Il battesimo fu effettuato da Coco Trovato e De Stefano con il beneplacito di tutte le famiglie più potenti del reggino, i Tegano, i Libri, i Paviglianiti e i Papalia. Tutto questo è stato raccontato dal pentito Vittorio Foschini, che invece in quello stesso periodo reggeva il traffico di droga a Quarto Oggiaro, sempre sotto il comando di Coco Trovato.
Il gota della ‘ndrangheta sceglie la famiglia Garofalo di Petilia Policastro per presidiare la zona. Carlo Cosco, fidanzato di Lea, figlia del boss, segue la fortunata famiglia prescelta e si insedia con la cosca in via Montello al 6, storico fortino della ‘ndrangehta milanese. Ma Carlo Cosco ha in testa di arrivare alla vetta del clan, e nel corso degli anni commette tre omicidi eclatanti per giungere a comandare la piazza di spaccio.
Nel 2002 Lea, stanca di uccisioni, droga e racket, decide di confessare tutto ai carabinieri. Da allora il compagno gliela giura. E lei sarà costretta a scappare, insieme alla figlia Denise e a una protezione armata, in giro per l’Italia.
Ma ecco il primo episodio che depone a sfavore di una confessione “spontanea” al processo di appello. Carlo Cosco già in quei primi anni si avvicina una prima volta per riguadagnare la fiducia di Lea. Lei quasi cede e lui invece subito le tende la prima trappola, a Campobasso, facendo travestire un uomo del clan da idraulico e provando a rapirla. Incredibilmente è Denise che riesce a sventare l’agguato.
Poi, il secondo episodio, questa volta fatale. Carlo Cosco di nuovo cerca la complicità della compagna, questa volta facendo leva sull’educazione della figlia, che sarebbe meglio continuasse nella città delle opportunità: Milano. Questa volta Lea cede, va a Milano con la figlia e lì, dopo qualche giorno soltanto, verrà rapita e uccisa in maniera brutale. Sciolta nell’acido, pare all’inizio. Carbonizzata, emergerà poi dalla confessione del fidanzato di Denise, Carmine Venturino.
Denise compirà un gesto eroico e quasi epico nello schierarsi contro la cosca di famiglia e accusare il padre e il fidanzato a processo, per salvare la memoria della madre. Poi, le condanne all’ergastolo della corte d’Assise. E ieri, la dichiarazione spontanea.
Che non può che suonare quando meno sospetta, dal momento che proviene da un uomo che almeno in due occasioni ha già mentito nei confronti di quelli che lui chiama “i suoi affetti più cari”. Il rischio è che di nuovo, dietro quello che appare come il moto di uno spirito redento e positivo, possa nascondersi soltanto un tentativo di fare abbassare la guardia alla figlia Denise e di scagionare il resto della cosca.