Scuola

Scuola, “adotta un cervello”. La privatizzazione del diritto allo studio

Ci siamo. Il blog di Cristina Lacava “Per chi suona la campanella” (Io donna, Corriere della Sera”) riporta una notizia che ci mancava per comporre il mosaico della privatizzazione – ormai non tanto strisciante – della scuola. Beppe Severgnini, domani, parteciperà alla serata di inaugurazione della nuova aula multimediale del blasonato liceo classico milanese Beccaria: un progetto realizzato grazie all’apporto degli sponsor.

La blogger, che dichiara la sua iniziale avversione all’entrata dei privati nella scuola statale, afferma di aver in questo caso cambiato idea quando (durante la serata di presentazione, in dicembre) sentì presentare da un genitore, con “passione e competenza”, il progetto “Adotta un cervello”, finalizzato alla raccolta dei fondi finalizzati alla ristrutturazione. Assicurazioni in merito alla dignità degli sponsor selezionati, che da questo momento potranno affiancare il proprio logo – udite udite – sul sito del Beccaria; che però è una scuola istituita dalla Repubblica e – in quanto tale – partecipe del principio dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale e luogo della concretizzazione di quei principi – evidentemente troppo poco “moderni” – che la Costituzione individua nella scuola statale. Dopo i test per selezionare una degna utenza, ecco l’ingresso degli sponsor, mai così smaccatamente evocato e legittimato: la scuola-azienda, la scuola merce, la scuola offerta a domanda/e individuale/i, che scavalca il proprio mandato e la propria natura per far accomodare il mercato anche in uno degli ultimi presidi di democrazia e di pari opportunità per tutti i cittadini della Repubblica. E poco importa, davvero, se si tratta di una necessità, dal momento che oggi come oggi lo Stato non fa il proprio dovere, non finanzia né economicamente né supporta culturalmente scuola, educazione e cittadinanza. Chiunque è in grado di comprendere come la deroga a principi così fondativi della nostra identità nazionale rappresenta la tangibile risposta non solo alla crisi, ma alla dismissione di quegli stessi principi, inaugurando derive che molti, evidentemente, auspicano.

C’è un’ulteriore valutazione da fare. Anche senza aula multimediale gli alunni del Beccaria continuerebbero – da alunni del liceo classico e di quell’istituto – ad essere dei privilegiati, né verrebbero intaccati il loro diritto allo studio e all’apprendimento. Altrove le condizioni di sopravvivenza quotidiana sono invece molto più legate a fatti ben più clamorosi dell’assenza di un’aula multimediale (strutture fatiscenti e a rischio, concentrazione di disagio socio-economico, ad esempio); ma nessuno sponsor, c’è da giurarlo, si preoccuperà di correre in soccorso. E, qualora lo facesse, intervenendo su elementi così “strutturali”, avrebbe buon gioco nell’allungare ulteriormente la mano, pretendendo il rispetto delle proprie eventuali ingerenze nella gestione dell’istituto.

E ancora: cosa dire di questa incursione – il logo, il marchio, indicatori di cos’altro se non dell’induzione al consumo – persino nella scuola, il luogo che dovrebbe – attraverso la cultura – educare al consumo critico, alla autonomia di giudizio? Il fanatismo efficientista, la logica del “fare” a tutti i costi – insensibile a principi, valori, che non siano la privatizzazione e il licenziamento definitivo del concetto di interesse generale – caratterizzano alcuni interventi a commento del post della Lacava. Lo Stato non fa, noi facciamo da soli. E chi se ne importa di chi non ha mezzi e possibilità; si millantano deroga ai principi e esaltazione di privilegi come “coraggio imprenditoriale” e attivismo sburocratizzato. È la logica di coloro che (a partire dall’incrollabilità delle proprie certezze ideali confortate da patrimoni materiali) pensano che chi non lavora oggi non ha fatto abbastanza per lavorare.

A quanti verrà in mente, invece che di proporre alla scuola dei propri figli di replicare l’iniziativa del Beccaria, di unirsi in “solidal catena” per esigere che lo Stato eserciti il proprio dovere rispetto al diritto di tutti i cittadini di avere scuole tutte davvero capaci di formare cittadini consapevoli? Quanti penseranno che – anziché la smania di vicariare funzioni che non appartengono a noi e ruoli che non possiamo e dobbiamo rivestire – sarebbe necessaria un’assunzione di consapevolezza collettiva sull’esigibilità di alcuni principi fondamentali e del pericolo terribile che invece configurano per il Paese le scorciatoie privatistiche e particolaristiche?