Gli esperti segnalano la necessità di intervenire sul tema del lavoro, dagli esodati alla partecipazione femminile, senza però spiegare in che modo procedere. E propongono di pagare tutti i debiti accumulati dalla pubblica amministrazione, che ammontano a 100 miliardi
Sul fronte giudiziario il verdetto dei saggi non lascia spazio a dubbi: sì al finanziamento pubblico ai partiti e stop alle intercettazioni telefoniche. Sul fronte dell’economia e del lavoro, invece, le proposte sono più generiche e incerte. A fare discutere è soprattutto il capitolo che riguarda il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese. Il suggerimento degli esperti è ambizioso, anche se poco argomentato: “Completare il saldo dell’intero ammontare dei debiti commerciali”, che ammontano a circa 100 miliardi di euro. E far sì che l’obbligatorio termine di 30 giorni per i pagamenti, in vigore dall’inizio dell’anno ma quasi sempre ignorato, “sia effettivamente rispettato”.
Particolare attenzione, almeno a parole, è data al tema del lavoro e delle persone in grave difficoltà economica. I saggi dichiarano di voler investire su questi due punti “qualunque sopravvivenza finanziaria possa manifestarsi nei prossimi mesi”. Ma i singoli punti analizzati dagli esperti sono spesso affrontati superficialmente. Un paragrafo è dedicato al lavoro femminile. Dopo avere segnalato che “l’Italia presenta forti ritardi rispetto ai partner europei in termini di partecipazione femminile”, tuttavia, le proposte concrete sono poche. Viene segnalata la necessità di “interventi che facilitino la parità di trattamento” e si ricorda che “sarebbe utile disciplinare con regole certe la possibilità di ricorrere al telelavoro” per andare incontro a chi ha bambini, senza però andare ulteriormente nei dettagli.
I consigli dei saggi sono traballanti anche per la “grave questione dei cosiddetti esodati“, che “deve essere risolta con eventuali interventi normativi per evitare il suo ripetersi in futuro”. Il team di esperti spiega poi che “da diverse parti è stata avanzata la proposta di introdurre un reddito minimo di inserimento” al fine di evitare condizioni di difficoltà economica “strutturale” e di “esclusione sociale“, specificando tuttavia che tali misure sono “onerose e quindi difficilmente realizzabili nelle condizioni di bilancio a meno di una decisa redistribuzione delle risorse disponibili”. E poche righe più avanti precisa inoltre che “il gruppo di lavoro non ha avuto modo di analizzare in dettaglio le diverse proposte” a riguardo, “ma ritiene utile suggerire un approfondimento della questione”.
Per andare incontro ai dipendenti, il documento propone quindi di introdurre un credito di imposta, da sottrarre all’imposta calcolata sul reddito per i lavoratori a bassa retribuzione. Ma mette ancora una volta le mani avanti segnalando il rischio che “le imprese potrebbero annularne l’effetto redistributivo riducendo le retribuzioni nette, in mancanza di un salario orario minimo”. Per quanto riguarda i manager pubblici, invece, i saggi affermano che bisogna “rafforzare il monitoraggio” sull’attuazione effettiva dei limiti agli stipendi e “riparametrare le retribuzioni al ruolo delle diverse istituzioni e al livello dell’incarico”, senza però dare ulteriori dettagli su come procedere.
Parlando di piccole e medie imprese, infine, i saggi segnalano i problemi di accesso al credito bancario. Nella frase successiva, tuttavia, sottolineano che gli istituti di credito “devono necessariamente aumentare la selettività nella concessione di prestiti” perché hanno problemi di adeguatezza del capitale rispetto ai rischi di credito.