Nella stretta valle del Tagliamento, avara di aree pianeggianti, nel comune di Osoppo fu costruita nei decenni scorsi una grande area industriale. Si tratta di 23 ettari che oggi si presenta una a macchie di leopardo: la crisi economica e produttiva ha infatti colpito molte imprese costringendole a chiudere. Ogni istituzione pubblica coinvolta, dall’amministrazione regionale ai comuni, avrebbe avuto il dovere di cercare nuove imprese che sostituiscano quelle che non ce l’hanno fatta a sopravvivere. E invece pensano che per rimettere in moto un paese in declino si debba ricorrere sempre e comunque ad alimentare la rendita speculativa.
La Regione Friuli ha infatti approvato in questi giorni una variante urbanistica proposta dal comune di Osoppo che prevede l’aumento di altri 8 ettari della zona produttiva. Questa approvazione è avvenuta nonostante la popolazione locale abbia presentato oltre 500 osservazioni che affermavano che non c’era bisogno di ampliare alcunché perché c’erano edifici a sufficienza per ospitare nuove attività e anche contro il parere di un nutrito gruppo di associazioni, il Comitato per lo sviluppo sostenibile e di qualità della zona industriale, Legambiente e il Comitato ARCA.
Ecco le efficacissime parole di Vittorio Battigelli portavoce del Comitato per lo sviluppo sostenibile e di qualità della zona industriale a commento della notizia dell’approvazione della variante urbanistica: “Attualmente la zona industriale ha una superficie di 2.316.125 mq con l’ampliamento previsto di 815.000 mq si raggiungerà una estensione di 3.131.125 mq. Attualmente la zona è sottoutilizzata con una superficie edificata di 441.841 mq, la nuova estensione prevista permetterebbe la costruzione di capannoni per 1.292.457 mq triplicando così la superficie coperta realizzabile rispetto a quella esistente. Adottando un rapporto di un occupato ogni 200 mq si avrebbe la possibilità di insediare attività per una occupazione di 6.400 unità sui 1.700 occupati oggi presenti: una dimensione del tutto insostenibile e sovradimensionata per il territorio in cui la zona industriale è collocata. Questo senza considerare il recupero delle strutture e infrastrutture che la recessione economica lascia inutilizzate! Si sostiene, verso l’opinione pubblica, che l’ampliamento porterà nuova occupazione ma se questi sono i numeri c’è una sproporzione tra la sostenibilità occupazionale e la tutela della salute e dell’ambiente”.
I comitati lamentano anche che con quello sconsiderato aumento di superficie i nuovi capannoni verrebbero costruiti a ridosso delle abitazioni dei residenti. E’ questa una motivazione decisiva. Si pensi al caso di Taranto. Anche lì la gigantesca acciaieria venne realizzata a ridosso di case che preesistevano: erano gli anni dell’ottimismo e della crescita, di una coscienza ambientale ancora limitata in un paese povero. Oggi non è più cosi: sappiamo i tragici tributi che alcune popolazioni hanno pagato nei confronti di uno sviluppo insensibile e cieco. Proprio due giorni fa alcuni bambini che abitano nelle immediate vicinanze dell’acciaieria sono stati sottoposti alle analisi del sangue per verificare la presenza di piombo: tutti e sette presentano livelli pericolosi del metallo. Nessuno sostiene che non debbano esistere edifici industriali: il problema è localizzarli nel modo migliore, tutelando in primo luogo la salute dei cittadini.
E invece nulla. La storia non è più maestra. Passi per i privati che in questo folle gioco ci guadagnano. Ma le pubbliche amministrazioni dovrebbero tutelare il bene comune e non lo fanno. Nel 2009 la regione Friuli aveva ad esempio sospeso l’approvazione della variante urbanistica di Osoppo chiedendo al sindaco di documentare lo stato delle cose e le motivazioni per cui non pensava di utilizzare i capannoni abbandonati fin da quella data, quattro anni fa. Oggi la stessa Regione non ha battuto ciglio e bisognerà capire perché.
La rinascita dell’Italia ha un solo nome: ricostruire la struttura di pubbliche amministrazioni efficienti che hanno a cuore il bene comune, la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. E che interrompano per sempre il consumo del suolo e del paesaggio.