La World Federation of Music Therapy ha dato nel 1996 la seguente definizione: “La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive”.

Chiedo al dott. Fulvio Muzio, medico e musicista, da quando si utilizza la musicoterapia: “La nascita della Musicoterapia, come oggi la conosciamo, è fatta risalire al termine della prima guerra mondiale quando dei musicisti iniziarono a visitare i “Veteran Hospitals” della nazione americana suonando per i reduci che soffrivano di forme sia fisiche che psichiche di trauma post-bellico. Dato che fu subito evidente una risposta positiva di questi pazienti alla musica, i medici e gli infermieri iniziarono a richiedere alle amministrazioni degli ospedali di formalizzare questi interventi e assoldare dei musicisti per fornire questo servizio in modo continuativo. Successivamente gli ospedali stabilirono l’obbligo di un training formale nell’utilizzo della musica a scopo terapeutico, concetto che si è evoluto in veri e propri diplomi di studio”.

In quali casi secondo te la musicoterapia ottiene i maggiori risultati? “La maggior parte degli studi effettuati attesta l’efficacia di questa metodica su svariati disturbi: stress, disturbi cognitivi, ansia, depressione, dolore, cefalea, ecc.  Inoltre è stato messo in luce l’effetto positivo di stimolo su stati mentali come l’attenzione, la concentrazione, la meditazione, la creatività”.

Mi spieghi i tuoi risultati testati? “I risultati hanno evidenziato come vi siano due gruppi di soggetti che hanno una diversa risposta agli stimoli psicoacustici. Mentre un gruppo di volontari è sensibile a questi stimoli e la loro mente viene progressivamente trascinata verso stati di rilassamento sempre più profondi, l’altro gruppo non ha una risposta di uguale efficacia: sebbene l’holter metabolico ha rilevato, in questi ultimi, proprio l’incapacità di riuscire a rilassarsi, di abbandonarsi ai suoni conservando invece fin dall’inizio una tensione muscolare superiore al gruppo dei responders. Nella realizzazione del progetto “Psychoacoustic Brain Power“ si è quindi fatto tesoro di questa esperienza associando le componenti psicoacustiche a composizioni musicali di genere “ambient” appositamente studiate per favorire il progressivo rilassamento psicofisico”.

Chiedo invece a Silvio Capeccia, compositore di ambient music e autore degli otto brani che costituiscono il materiale sonoro di “Psychoacoustic brain power”, quale tipo di musica è indicato nella musicoterapia: “L’obiettivo dichiarato del lavoro era di portare progressivamente l’ascoltatore da uno stato mentale vigile al rilassamento profondo, mediante l’abbinamento della musica con onde a bassa frequenza utilizzate secondo una tecnica specifica dal musicoterapista Fulvio Muzio. Si è trattato quindi di scegliere, tra i brani che abitualmente realizzo, quelli che maggiormente creano atmosfere soft e meditative. In tale ottica, la musica ambient è certamente la più indicata, grazie a certe sue caratteristiche quali l’assenza di ritmica ossessiva, la presenza di sonorità eteree e morbide, la ripetitività delle frasi musicali unita ad una quasi impercettibile mutazione continua”.

Ascoltiamo uno dei brani del CD: la buona musica che aiuta la buona medicina a raggiungere una sanità sana.

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