Il Cavaliere azzecca il comizio giusto davanti a una piazza gremita. Da qui manda un messaggio netto: il no a Prodi capo dello Stato. Ora il Pd deve decidere: mediare o andare allo scontro con un Pdl tornato in testa ai sondaggi
Un trionfo così non se lo aspettava nessuno. A Bari, Berlusconi ha dimostrato che il suo popolo è ancora molto vivace e combattivo. E che c’è. Ma soprattutto lui ha dimostrato di avere ancora molte, moltissime carte elettorali da giocare. Quel 35% di consenso che ha dato in pasto ad un elettorato festante e in vena di tributargli un successo nuovo nelle prossime urne, non è affatto un dato esagerato; quasi tutti gli istituti di sondaggio sono concordi nel conferirgli, al momento, esattamente questa percentuale.
C’è poco da riflettere e molto da preoccuparsi: se si andasse a votare domani, Berlusconi avrebbe tutte le carte in regola per vincere ancora. La memoria corta degli italiani si è fatta sempre più a breve termine anche perché quel nuovo che avanza, impersonato da Grillo e dai suoi grillini, a poco meno di 50 giorni dal voto non ha dato segnali politici tali da poter sperare in un suo apporto significativo alle riforme urgenti del Paese. E il Pd, all’indomani della sconfitta elettorale, vive ora la crisi più nera degli ultimi anni, con un segretario – Bersani – che perde colpi ogni giorno che passa, in una corsa spasmodica verso palazzo Chigi che, ormai, ha assunto connotati quasi grotteschi.
Eccoci, dunque, davanti al Cavaliere. E al suo nuovo successo di piazza. Si sa che Berlusconi è un campione sul fronte della comunicazione, ma certo questo trionfo alla vigilia della settimana in cui si eleggerà il nuovo Capo dello Stato proprio non ci voleva. Dalle parole del Caimano a Bari, si è capito che il Pdl, con lui in testa, non crede affatto che dall’ultimo incontro con Bersani, previsto per martedì, possa uscire un accordo con i democratici su un nome “moderato” condiviso. E per questo ha fatto chiaramente capire di voler tenere, ora, il piano della formazione del prossimo governo ben separato da quello del Colle; il pacchetto unico, insomma, quello che ha cercato di “vendere” a Bersani fino a ieri, è destinato a non vedere luce. Per questo, all’orizzonte vede solo due possibilità: o un governissimo, benedetto da un presidente di garanzia, oppure a marce forzate verso il voto. Certo, Berlusconi teme che il Pd, con una sponda grillina, possa mandare al Quirinale Romani Prodi, il suo peggior nemico, ma nella realtà a Berlusconi fanno paura anche nomi come Rodotà, Zagrebelsky, Emma Bonino. Mai, invece, ha pronunciato da Bari il nome di Massimo D’Alema; il presidente del Copasir è infatti la sua carta nascosta nella manica, da far uscire al momento più opportuno per spaccare il Pd. Che in questo momento, dopo gli applausi scroscianti di Bari, è all’angolo. Se Bersani continuerà nel suo (per carità, nobile, ma caparbio) tentativo di diventare premier di un governo politico senza il Pdl, casomai dopo aver conquistato il Quirinale con un personaggio di parte, i rischi che la situazione possa precipitare sono evidenti. Ha avuto buon gioco, quindi, Berlusconi, nel parlare di “voto a giugno”; senza un accordo – che non è un inciucio se fatto alla luce del sole – la legislatura è destinata ad avere davvero una vita brevissima. E Berlusconi è lì, pronto a tornare trionfante, benedetto da elezioni forse non a luglio ma di certo ad ottobre.
Il messaggio del comizio di Bari, d’altra parte, ha tenuto dentro ad arte tutto un repertorio su economia e tasse che ora, più che mai, è di grande appeal. E non solo nel popolo di Silvio: l’abolizione dell’Imu, la diminuzione delle tasse per le imprese che assumono, quelli sullo Stato da sottoporre a cura dimagrante. Quindi un attacco ai giudici e ai “comunisti sanguinari” che è sembrato più duro di quello della manifestazione di Roma, ma che in questo caso si può considerare un refrain rispetto a parole d’ordine sul “portafoglio degli italiani” che senza dubbio colpisce anche chi non ha mai votato Pdl e ora dice: “Se mi toglie davvero l’Imu io lo voto sul serio”.
Siamo daccapo, allora. Con Silvio che stavolta si candida anche a premier, alla faccia della Lega e di Maroni che solo poche settimane fa avevano posto il veto e che dopo Pontida sono usciti con le ossa più rotte che dalle urne di febbraio. Se, come ormai pare chiaro, l’accordo sul Quirinale resterà lettera morta, la minaccia di una tempesta politica perfetta firmata Berlusconi è solo dietro l’angolo. Molti, stavolta, potrebbero soffiare sul fuoco insieme a lui. Anche “cittadini” al di sopra di ogni sospetto.