In un mio post in cui paragonavo la stangata ventilata sui conti correnti bancari a Cipro e quella effettivamente subita dai possidenti italiani con l’Imu, diversi commenti asserivano che sarebbe cosa buona e giusta lasciar fallire le banche insolventi. Su questo punto nulla da eccepire da parte mia. Però sorge un problema: come vanno trattati i depositanti? Diversi lettori asserivano che se i depositanti perdessero i risparmi non varrebbe la pena di stracciarci le vesti (i malcapitati al massimo possono stracciarsi quel che resta della biancheria intima). Male hanno fatto a non valutare con accuratezza la solidità della banca.
Secondo questo filo logico le banche sono aziende come tutte le altre e quindi devono poter andare in bancarotta (del resto l’etimologia del termine è eloquente) senza particolari drammi. Però le aziende “normali” vendono un bene o un servizio. Ad esempio se tengo la macchina in un garage privato e il proprietario fallisce a nessuno salta in mente di espropriarmi l’autovettura. Come cliente non sono responsabile del rischio d’impresa dell’autorimessa.
Invece le banche hanno una caratteristica diversa da tutte le altre aziende: il loro capitale è irrisorio rispetto ai prestiti concessi. Esse pertanto rischiano soldi altrui, quindi i clienti si trovano coinvolti nella malagestione del management (peraltro senza poterlo influenzare o controllare come fanno gli azionisti). Inoltre molti individui sono costretti loro malgrado ad aprire un conto in banca non fosse altro perché i datori di lavoro versano gli stipendi sul conto corrente e perché ormai le transazioni in contanti oltre un certo limite sono illegali.
La domanda astratta: “E’ giusto che una banca venga lasciata fallire e i depositanti ne siano coinvolti?” può essere tradotta in termini più concreti: “E’ giusto che la casalinga di Voghera, l’artigiano di Trani o l’operaio di Pomezia paghino per gli errori di chi gestisce la banca dove hanno il conto?”.
La risposta dipende dalla qualità delle informazioni diffuse al pubblico e dalla capacità di un correntista di analizzarle e trarne implicazioni precise circa la solidità patrimoniale della banca dove ha depositato i risparmi. In altri termini, ogni correntista dovrebbe avere dimestichezza con la contabilità e trasformarsi in analista di istituti di credito. Ogni tre mesi quando escono i risultati di gestione dovrebbe leggerseli, studiarseli, capirli e valutare se tenere i soldi in quella banca o cambiare (il che implica andarsi a leggere i bilanci di almeno un’altra mezza dozzina di banche per trovarne una migliore).
Quanti di voi, cari lettori, avete un’ idea – sia pure approssimativa – della situazione patrimoniale della banca che custodisce i vostri risparmi (a meno che non siate correntisti del Monte Paschi e quindi una sia pur pallida idea sulla brillante situazione dei conti dovreste esservela fatta)? Quanti di voi hanno mai letto il bilancio della vostra banca? Sapete cos’è il capitale Tier 1? E il RoA? Forse avete un’idea dell’andamento del RoE? Se siete tra quelli che ritengono giusto lasciare ai depositanti il cerino acceso in mano, fareste bene a familiarizzarvi con questi concetti.
Ma ammettiamo pure che i correntisti, dopo apposito corso accelerato di scienze bancarie, siano in grado di analizzare la situazione patrimoniale delle banche, gli indici di redditività, le esposizioni e il valore degli attivi riportati in bilancio (inclusi i derivati e titoli tossici). Ci si può fidare di cotali informazioni nei bilanci vergati dal management e vagliati da occhiuti regolatori?
Proprio il caso di Cipro ci offre un fulgido esempio. L’Eba, l’associazione dei regolatori bancari europei aveva condotto uno stress test sui maggiori istituti bancari dell’Unione Europea. Ecco i link ai risultati per Bank of Cyprus e Laiki Bank entrambe finite nelle ortiche. In sostanza, asserivano gli ineffabili guardiani della stabilità bancaria abbiamo tutto sotto controllo e anche nell’ipotesi di uno shock inatteso si possono dormire sonni tranquilli. Un caso isolato? Non direi. Dall’inizio di questi stress test europei sono saltati i sistemi bancari di tre paesi, Irlanda, Spagna e Cipro (senza contare la Grecia), con la Slovenia che si appresta ad aggiungersi alla lista appena espletate le formalità. Quindi sulla qualità delle informazioni in circolazione e sulle rassicurazioni dei regolatori meglio essere diffidenti.
In conclusione, è giusto che le imprese falliscano quando non sono in grado di generare valore e di stare sul mercato, ma trasformare i clienti in azionisti quando le cose vanno male (mentre quando vanno bene li si tosa a volontà) è un principio che non ha nulla a che vedere né con l’economia di mercato, né con il buon senso, né con criteri giuridici o morali.
Proprio perché le banche sono imprese autorizzate a correre rischi sulla pelle di correntisti ignari della reale situazione, nel tempo si è adottato il principio che le attività bancarie siano sorvegliate da istituzioni pubbliche (di solito la banca centrale), e in cambio di questo controllo pervasivo i depositanti sono garantiti da un’assicurazione.
Oggi questo assetto ha perso ogni credibilità perché i regolatori si sono dimostrati incapaci di assolvere alla loro funzione. Nel migliore dei casi hanno adottato un atteggiamento notarile e pedante senza chiedersi e chiedere cosa nascondevano i numeri scodellati nei bilanci e i modelli su cui si calcolavano i coefficienti di rischio. Nel peggiore valga notare che i clienti sono ovini poco inclini alla ribellione, mentre i grandi banchieri foraggiano i politici (vedasi alla voce Mussari o ai verdi prati irlandesi), quindi mani guantate e occhi strabici.
E in Italia? Anche qui la faccenda del Monte dei Paschi dove si pasceva il Pd (ma da cui mungevano anche Berlusconi e sodali vari) ha evidenziato aspetti poco edificanti. Quando la Banca d’Italia scopre gli altarini senesi scatta il riflesso condizionato del troncare e sopire. Ancora oggi sui media italiani è steso un sudario di omertà (perfino le procure di solito così prodighe di commenti e spifferi hanno indossato la mordacchia): Mps del resto chiama in causa i vertici della Rai in brodo tecnico-papalino e pochi aspirano ad immolarsi pestando piedi che possono sferrare calci poderosi senza preavviso, specie durante questa campagna elettorale infinita.