Dalla moka Bialetti all’ultimo iPhone: è grazie a questi oggetti quotidiani che nelle nostre vite passano, magari inavvertitamente, nuovi modi di usare e il corpo e nuovi stili di pensiero. Altro che il prodotto bizzarro, griffatissimo e inutilmente costoso. Il “vero” design ha a che fare più con l’esistenza, che con l’estetica: parola di Alberto Bassi, storico del design e docente allo Iuav di Venezia, e autore per del libro Design. Progettare oggetti quotidiani (Il Mulino). Se per lungo tempo si è pensato al design immaginando il pezzo unico firmato e senza scopo apparente (“Si capisce che è una sedia?”. “No”. “Allora è design”, secondo la celebre imitazione di Maurizio Crozza-Massimiliano Fuksas), la colpa sta soprattutto in una tendenza alla virtualizzazione: non solo di questa disciplina, che fa da interfaccia tra il mondo delle cose e quello delle persone, ma di tutto il sistema economico. Una tendenza che, per fortuna è sempre più in declino.
“Il modello del consumo usa e getta, del prodotto che si butta ogni sei mesi, sta dentro un’idea di società capitalistica finanziaria ormai agonizzante – spiega Bassi. – Fortunatamente quell’idea di prodotto non è più l’unica, anzi, altri modelli sono possibili”. Opposta e speculare a quella dell’inarrivabile pezzo unico, c’è per un’altra inclinazione da combattere: quella verso l’omologazione, l’uso di linguaggi sempre uguali. “Una strada che purtroppo – prosegue l’autore – è stata battuta in questi anni da molte aziende che hanno fatto solo artigianato meccanizzato. Si sono accontentate di spazi di mercato già esistenti, limitandosi a investire risorse su comunicazione e pubblicità anziché sulla ricerca”.
Oggi le sfide del design (disciplina che qualcuno ha definito “pipistrello, metà topo e metà uccello”) sono due: da un lato, ragionare intorno a prodotti e servizi che rendano la progettazione compatibile ed ecosostenibile, fornendo al tempo stesso qualità a un maggior numero di persone. Dall’altra, pensare a oggetti che possano essere usati da tutti: ad esempio i disabili, ma anche, più banalmente, i mancini. “Altro che crisi – osserva Bassi – Ci sono tantissime nicchie di mercato da esplorare”. Con una certezza: il futuro oggi appartiene “ai brand legati a idee forti, che in nome di quell’idea fanno passare una logica non comune”. Diversa, sorprendente, e insieme democratica, come fu il caso della mitica Vespa.
E poi c’è un fronte nuovo, nato dal binomio tra design, rete e nuovi media. Qui il potenziale rivoluzionario è enorme, grazie alle nuove tecnologie che consentono a chi possiede semplicemente un computer e una stampante in 3d di progettare e produrre prodotti senza passare per la fabbrica, distribuendoli attraverso la rete. Sono i nuovi makers, un fenomeno tutt’altro che marginale. Queste nuove start up del design, infatti, sono in grado di mettere in circolo prodotti innovativi e conquistare nicchie di mercato. E rappresentano l’ultima frontiera per gettare un ponte da un lato tra design e artigianato, dall’altro tra progetto e mercato. “Da questo punto di vista siamo in un periodo stimolante, dove nessuno potrà ingannare il consumatore. Vinceranno sempre di più prodotti al tempo stesso fortemente identitari e responsabili. Insomma – conclude Bassi – è una fase entusiasmante, che ci fa sperare nella rifondazione di una nuova società”.