I cittadini sono chiamati a esprimersi su due quesiti proposti nel 2007 da 'Taranto Futura'. Indifferenti o scettiche le forze politiche. Per il partito di Vendola la consultazione non è uno strumento risolutivo e, a prescindere dall'esito, non ci sarà nessuno stop all'attività dell'impianto, nè totale, nè parziale
Un referendum consultivo per decidere se chiudere o meno l’impianto dell’Ilva a Taranto che secondo le indagini della magistratura, le analisi fisico-chimiche e le pronunce di diversi Tribunali, sarebbe all’origine dell’inquinamento della città e, quindi, causa di malattie e morti. La consultazione per essere giudicato valida dovrà registrare la partecipazione del 50% più uno degli iscritti alle liste elettorali. Due i quesiti: il primo riguarda la chiusura totale, il secondo la chiusura dell’area a caldo. Chi si batte per lasciare la situazione invariata punta anche sull’astensione e il mancato raggiungimento del quorum.
Dalle 8 di domenica 14 aprile a Taranto si sono aperte le urne, in 82 sezioni, un numero inferiore a quello delle altre consultazioni dopo l’accorpamento e il dimezzamento voluto dall’amministrazione in questa occasione per esigenze di risparmio. Una decisione che ha creato qualche polemica tra il comitato promotore e l’amministrazione. Si voterà nei circoli didattici, negli istituti comprensivi, nelle scuole medie e scuole superiori. Diciannove in tutto i plessi scolastici più l’ospedale ‘Santissima Annunziata’. La spesa prevista è di 400mila euro. Il referendum, istituto previsto nello Statuto comunale, è stato proposto nel lontano 2007 dal Comitato ‘Taranto Futura‘ e ha conosciuto una storia lunga e travagliata.
A seconda dei punti di vista arriva nel momento più scomodo o più opportuno, dopo i provvedimenti della magistratura, i sequestri, la legge del governo Salva Ilva, giudicata legittima nei giorni scorsi dalla Corte Costituzionale, l’avvio dei lavori di ambientalizzazione previsti dalla nuova autorizzazione integrata ambientale, le diverse mobilitazioni dei cittadini, le pesanti ricadute occupazionali, per il momento solo tamponate. Sicuramente se il momento del referendum fosse arrivato prima avrebbe accelerato maggiormente certi processi che poi solo la magistratura, con le sue inchieste, è stata in grado di mettere in moto. La fissazione della data risale allo scorso 18 gennaio. A dare il via libera definitivo è stato il Comitato dei garanti al termine di un lungo contenzioso giudiziario davanti a Tar e Consiglio di Stato. Favorevoli al sì al referendum, oltre ai promotori, molte delle associazioni ambientaliste riunite nella sigla Altamarea (Peacelink, Fondo Antidiossna, Ail e tante altre) che già da alcuni anni hanno presentato denunce e, fino a domenica scorsa, hanno organizzato numerose manifestazioni contro l’inquinamento e a sostegno dell’azione della magistratura e contro la legge 231.
Le forze politiche hanno mostrato un atteggiamento abbastanza distaccato, di indifferenza o di scetticismo. In molti casi hanno lasciato libertà di voto ai loro elettori e comunque hanno auspicato una larga partecipazione. Sinistra, ecologia e Libertà, il partito del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola al quale è molto vicino il sindaco Ippazio Stefano, ha invitato a votare no al primo quesito e sì al secondo. “Il referendum non è uno strumento risolutivo: quale che sia l’esito non ci sarà la chiusura nè totale nè parziale del siderurgico”, ha sostenuto Sel. “La chiusura dell’Ilva determinerebbe una drammatica crisi occupazionale oltre alla beffa di opere di bonifica lasciate solo sulle spalle della collettività”. Il comitato Amici di Beppe Grillo ha chiesto agli elettori due sì perchè “ogni evento che preveda la partecipazione attiva dei cittadini è da apprezzare e valorizzare in ogni modo, convinti come siamo che le soluzioni alla vertenza Taranto possano nascere ed essere promosse solo dai cittadini stessi”. Per i grillini, l’Ilva di Taranto “ha comunque vita breve (2016) visto il termine del regime transitorio per la messa a norma imposto dall’Europa alle attività inquinanti, vista la crisi dell’acciaio, l’obsolescenza dello stabilimento, e la volontà, ormai chiara, di non effettuare i dovuti investimenti e il sempre più probabile commissariamento e successiva liquidazione”. Si sono schierate anche le associazioni degli agricoltori, un settore che dall’inquinamento ha ricevuto dei contraccolpi negativi: favorevoli al referendum Confagricoltura e Cia, contraria la Coldiretti.