Cancellato il protocollo con il rifiuto della croce d'oro, dell'auto d'ordinanza, degli abiti e dei paramenti ricercati e antiquati, e, persino, dell'appartamento pontificio, Jorge Maria Bergoglio incarna l'umiltà. Oggi l'ultima testimonianza, con il duro esame di coscienza rivolto ai pastori della chiesa
“Settantasei. Bergoglio settantasei”. Un silenzio assordante riempie la Cappella Sistina quando il porporato scrutatore legge i risultati della quarta votazione del conclave del 2013. L’habemus Papam per il cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, sfuma per un solo voto. La fatidica soglia dei due terzi dei porporati elettori, necessaria e sufficiente per la fumata bianca, non è stata ancora raggiunta. Si rivota subito e Bergoglio dilaga. Oltre novanta voti secondo le indiscrezioni. Almeno sei in più degli 84 ottenuti da Joseph Ratzinger otto anni prima. Bergoglio è Papa e si chiamerà Francesco. Per chi avrà votato? L’ipotesi più accreditata è che la sua preferenza sia andata al 78enne cardinale brasiliano Cláudio Hummes, prefetto emerito della Congregazione per il clero, seduto nella Cappella Sistina accanto al suo amico fraterno Bergoglio. E’ proprio Hummes, come ha raccontato lo stesso Papa Francesco, a consolarlo durante gli scrutini decisivi e ad abbracciarlo e baciarlo appena il suo nome risuona per la settantasettesima volta sotto gli affreschi di Michelangelo. “Non ti dimenticare dei poveri”, gli sussurra Hummes. Ed ecco il motivo della scelta del nome: “Francesco come il poverello di Assisi”.
A un mese dalla sua elezione Papa Bergoglio sta prendendo confidenza con il suo nuovo ‘habitat’. Lui che non ha mai vissuto nella Curia romana e che era venuto al conclave con in tasca il biglietto aereo low cost per poter ritornare nella sua Buenos Aires in tempo per la settimana santa, si ritrova circondato dall’opulenza dello stato più piccolo del mondo. Quarantaquattro ettari che a Bergoglio stanno stretti. Rivoluzionario fin da subito: rifiuta la croce d’oro, l’auto d’ordinanza targata SCV1, gli abiti e i paramenti ricercati e antiquati, e, persino, l’appartamento pontificio al terzo piano del Palazzo Apostolico, dove sale solo la domenica, a mezzogiorno, per la recita dell’Angelus o del Regina Caeli con i fedeli presenti in piazza San Pietro. Almeno per il momento Papa Francesco vuole rimanere al secondo piano di Casa Santa Marta, l’albergo vaticano fatto costruire da Giovanni Paolo II per poter ospitare i cardinali elettori durante il conclave e che, fuori dal periodo della sede vacante, accoglie tutti coloro che hanno rapporti con la Segreteria di Stato.
Sveglia alle 4,30, messa alle 7 nella cappella dedicata allo Spirito Santo con i dipendenti vaticani e colazione alle 8 nella mensa di Santa Marta. Poi, intorno alle 11, Francesco sale al secondo piano del Palazzo Apostolico, nell’appartamento delle udienze pontificie e riceve i capi dicastero, i vescovi, i capi di Stato e di governo e gli ambasciatori accreditati in Vaticano. L’ordinaria amministrazione di un Papa. Ma Francesco è un Pontefice fuori dal comune ed è certamente molto diverso da Benedetto XVI. Vuole essere innanzitutto vescovo di Roma, vuole celebrare nelle parrocchie della sua grande diocesi. In questo è molto simile a Giovanni Paolo II che ripeteva spesso all’allora cardinale vicario di Roma Camillo Ruini: “Eminenza, quando andiamo nelle parrocchie di Roma?”. Anche Benedetto XVI, nei suoi otto anni di pontificato, non ha mai mancato l’appuntamento, in avvento e in quaresima, con i fedeli della sua diocesi. Ma Bergoglio vuole visitarle tutte. Molto probabilmente la prima data sarà domenica 26 maggio. Il cardinale vicario Agostino Vallini è già stato sommerso dalle richieste dei parroci, ma si sussurra che sarà privilegiata la periferia romana.
Nei primi passi del suo pontificato Bergoglio non ha mancato, però, di sottolineare anche i peccati ecclesiali. “L’incoerenza dei fedeli e dei pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa“. E’ il mea culpa pronunciato dal Papa durante l’omelia della messa celebrata nella basilica di San Paolo fuori le mura. Un duro esame di coscienza del Pontefice argentino rivolto innanzitutto ai pastori della Chiesa: vescovi e sacerdoti. “Ricordiamolo bene tutti – ha precisato loro il Papa – : non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca”. E qui è facile leggere in controluce anche un riferimento, seppur non esplicito, alla piaga della pedofilia ecclesiale. Francesco ha indicato con chiarezza la via da seguire: “Spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri”.
E i viaggi? Francesco viaggerà. Il primo appuntamento sarà in Brasile, a Rio de Jainero, a fine luglio, per la Giornata Mondiale della Gioventù. Poi sicuramente ci sarà un ritorno nella sua Argentina, forse già a dicembre. E poi nel 2014 si ipotizza un pellegrinaggio in Terra Santa insieme con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, presente eccezionalmente all’inizio del pontificato di Francesco. Un viaggio dal sapore ecumenico nel ricordo dello storico abbraccio, cinquant’anni fa, tra i loro predecessori Paolo VI e Atenagora. E poi in Europa. Molto probabilmente ci sarà la visita del Papa al Parlamento europeo. E in Italia pochi viaggi: più che certo il pellegrinaggio ad Assisi, sulla tomba di san Francesco, e poi alcune tappe mariane e il pensiero corre a Loreto e a Pompei. Ma anche a Lourdes, per rimanere nel vecchio continente, e a Fatima. E a Medjugorje? Sulla sua scrivania c’è il rapporto conclusivo redatto dalla commissione internazionale, voluta da Ratzinger e presieduta dal cardinale Ruini, che ha approfondito accuratamente il fenomeno che, dal 1981, si verificherebbe nella Bosnia Erzegovina.
E le nomine? Chi sarà il prossimo Segretario di Stato? Lorenzo Baldisseri, numero due della Congregazione per i vescovi, è sempre più in pole per sostituire il salesiano Tarcisio Bertone. A lui, riprendendo un’antica tradizione non sempre rispettata dai Papi, Bergoglio ha donato il suo zucchetto rosso, subito dopo l’elezione. “Sei un cardinale a metà”, gli ha detto Francesco che, a Santa Marta, condivide con Baldisseri l’intera giornata: dalla Messa mattutina alla cena. Anche se il nome di Fernando Filoni, il “Papa rosso”, dal 2011 alla guida di Propaganda Fide, resiste accanto a quello di Baldisseri. E dopo la nomina di un gruppo di otto cardinali che dovranno consigliare il Papa nel governo della Chiesa e lavorare a un progetto di riforma della Curia, entra di diritto nel rebus Segretario di Stato anche il cardinale Giuseppe Bertello, unico porporato con incarico a Roma scelto da Bergoglio per questo speciale “consiglio della corona”.
@FrancescoGrana