Quasi un terzo del mais italiano prodotto nel 2012 è cancerogeno e per questo è rimasto fuori dal mercato alimentare. Colpa della contaminazione da aflatossina B1, una micotossina prodotta dalla muffa Aspergillus flavus e inserita dallo Iarc (International agency for research on cancer) in Classe 1, cioè sicuramente cancerogena per l’uomo. L’anno scorso l’aflatossina B1 ha raggiunto concentrazioni superiori ai 20 ppb – questo il limite imposto dalla legge – nel 30 per cento del mais, tagliandolo fuori dalla catena alimentare: inadatto a nutrire uomini e animali. A far nascere le aflatossine è stata la grande siccità della scorsa estate, che, unita all’aumento dei costi dei carburanti fossili, ha messo in difficoltà l’agricoltura italiana, soprattutto nel nord est.

A risollevare la situazione ci ha pensato un’intesa siglata dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e proposta dai rispettivi assessori all’Agricoltura Giuseppe Elias, Franco Manzato e Tiberio Rabboni. La soluzione è quella di dirottare agli impianti di biogas dell’area padana circa 350mila tonnellate di mais contaminato, per produrre elettricità e calore a un prezzo vantaggioso per tutti. Tra i prodotti ottenuti dalla digestione anaerobica che avviene negli impianti, poi, c’è pure il digestato, un fertilizzante organico ricco di nutrienti, che, è dimostrato, può sostituire completamente i concimi di sintesi. Ma che fine fanno le aflatossine durante la lavorazione negli impianti di biogas? Secondo delle sperimentazioni avviate da alcuni mesi dalla Direzione generale agricoltura con l’università di Milano, alla fine del processo di digestione anaerobica, le aflatossine si degraderebbero.

Le contaminazioni da aflatossine, che in Italia colpiscono soprattutto il mais, sono favorite da clima secco e colture estensive e per questo il mais sudorientale è quello che si è dimostrato più a rischio. La soluzione di dirottarlo verso impianti di biogas però non è facile: al sud si concentra solo il 15 per cento dei 400 MW di impianti di biogas installati in Italia, il 61 per cento dei quali è al nord.

Per Marco Mazzoncini, direttore del Ciraa, il Centro interdipartimentale di ricerche agro-ambientali dell’università di Pisa, la notizia dell’intesa tra le tre Regioni è positiva: “Per gli agricoltori è un’opportunità di reddito e ben venga l’impiego per la produzione di energia da mais non utilizzabile nella catena alimentare. L’importante – dice a ilfattoquotidiano.it – è non sottrarre terreno alla produzione alimentare e zootecnica per farne energia”.

Intanto l’allerta per le aflatossine resta alta, almeno fino al prossimo settembre, quando ci sarà il nuovo raccolto. Al Laboratorio agroalimentare dell’associazione regionale degli allevatori lombardi continuano le analisi sul latte per il controllo della contaminazione. Su 200 campioni sospetti analizzati ogni settimana, solo il 13 per cento risulta “pulito” da aflatossine.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Referendum Ilva: non è stato un flop

next
Articolo Successivo

Riscaldamento globale, la casa brucia per davvero!

next