L’alpinista, scultore e scrittore inganna la crisi economica coltivando frutta e verdure, perché "a ogni cosa si può rinunciare tranne che a soddisfare la fame". E consiglia di riscoprire il necessario per eliminare le paure del tempo
Nell’incrocio tra un barbaro, un alpinista e un poeta si sviluppa il corpo e si modella il pensiero di Mauro Corona. Ha spaccato pietre e usato le parole per raccontarle. Il martello nell’inchiostro. Dunque scrittore a sua insaputa. Guarda dall’alto in basso gli umani, che forse un po’ gli fanno schifo, e il mondo, che forse un po’ lo rattrista. Si gode lo spettacolo dalla parete di una montagna, una roccia chiamata Erto, paese di 400 abitanti collegato a Longarone con il bus e all’Italia dalla tragedia del Vajont.
“Grazie ai morti del Vajont siamo italiani. È la disgrazia che ci ha fatto riconoscere. Le televisioni e i giornalisti e le autorità sono giunte a Longarone, mai nella mia Erto che infatti va in malora senza che un cristo (un ministro, un deputato, un potente semplice) faccia un colpo di tosse, una telefonata per chiedere come va. Gli risponderei che serve della ghiaia, serve riparare una strada perché d’inverno tutto smotta e noi rimaniamo isolati, celati alla vista e anche al pronto soccorso, a un medico che ci aiuti, un tabaccaio che apra per noi, un postino che ci faccia imbucare le lettere”.
Noi in città ci disperiamo per la recessione economica, lassù lei sta peggio. “Peggio un cavolo! Al netto delle peripezie che tocca fare perché la montagna richiede sacrifici, le rispondo: una favola. Coltivo verze, cavolfiori, patate (le patate sono decisive per vivere). E susine, ciliegie, mele, pere. Toccherà anche a lei imparare a zappare. Il nostro futuro è nella terra: a ogni cosa si può rinunciare tranne che a soddisfare la fame. Quindi, niente paura: una zappa ci salverà”.
Conosceremo i calli alle mani, torneremo alle candele. “Ma benvenuti ai calli, diamine. L’idiozia è restare vittime della dittatura del superfluo, l’idiozia è non capire che per vedere devi togliere roba davanti ai tuoi occhi, cosa te ne fai della Ferrari nel capannone, idiota? Il denaro compra il tempo, ma il tempo è ripetitivo, ci annoia perché non siamo stati abituati a governarlo, dominarlo. Dove sono le passioni, e dove la speranza? Da quel che vedo siamo vicini alla fine”. Il capitalismo sta schiattando? “Ma certo, che dubbio c’è. Ci ridurrà allo stremo. Nel vicino Friuli c’è un paese dove si facevano sedie. E queste benedette sedie con gli anni sono venute a costare uno sproposito: le vendevano 400 euro l’una. Sono giunti i cinesi con le loro sedie a 20 euro e tutto è finito.
Il paese delle sedie che non ne vende più una. Questo è il capitalismo. Si può essere cretini così? Due giorni fa ero a Montecarlo per una conferenza”. Lei a Montecarlo? “Certo, devi andare dai cretini per parlare dei cretini. Devi giungere nel punto esatto dove si concentrano i soldi per illustrare la loro inutilità”. Marcuse parlava dell’offerta senza desiderio. “Esatto. Vince l’apparenza sopra la realtà. Il verosimile sul certo. Vince la televisione, il talk show, il frou frou, il cinguettio scadente frutto del pensiero inutile. Se non vai in televisione per dire che ti uccidi neanche tua moglie ci crederà mai”. I suoi libri hanno venduto perché lei li ha promossi in tv. “Come negarlo? Ho vinto anche un premio Bancarella, e sapevo un mese prima che l’avrei vinto. Sapevo dello Strega a Piperno. Sembra tutto un artificio, una vita di plastica, concepita secondo schemi falsi, triturata dall’omaggio al potere. Forse la mia è solo invidia e la pagherò. Ma questo è il mio pensiero”. Tutti i potenti sono cattivi, e tutti gli indifesi sono buoni?
“Diceva Borges: ho scoperto che c’è del male in me e del buono in altri. Perciò dovremmo essere più fiduciosi, collaborativi, disponibili. Ma non si riesce a fare un governo, l’uno addenta l’altro nella negazione che esista un bene comune, uno sguardo comune, una vita in fondo comune. E siamo qui a fare la conta della tragedia, a chiederci di quanto ci impoveriremo, di cosa ci mancherà. A piangere e straziarci. Siamo peggio di quel che vogliamo credere. Noi italiani abbiamo consumato ogni etica, e questa caduta civile, questa deriva economica un po’ ce la siamo conquistata con il nostro stile barbarico. Gli schei ci hanno fatto ammalare e ridotto in povertà. Vanitosi e pigri, ora disperati”. Una parola di conforto? “Una zappa per tutti. Impareremo presto a essere imprenditori della terra. Cioè di noi stessi, e capiremo che è una cosa bellissima”.
da Il Fatto Quotidiano del 14 aprile 2013
video di Giorgio Fornoni