Ankara aspira a entrare a far parte dell'Unione europea, ma sul versante della tutela dei diritti c’è ancora molta strada da fare. Dopo il caso della ragazzina molestata da 29 uomini, il Paese torna a interrogarsi sulle discriminazioni subite dalle donne. Parla una psicologa del Centro per la solidarietà femminile di Eskişehir
Nella città turca di Golcuk 29 uomini hanno abusato di una 13enne. Quest’ultimo caso di violenza sessuale riaccende i riflettori sulla situazione in cui si trovano le donne, aprendo nuovamente il dibattito su discriminazioni, abusi e molestie contro il genere femminile in Turchia.
“Non esiste nessuna giustificazione, la violenza contro le donne è un crimine”, commenta Gülten Seber, psicologa presso il centro “Kadın Dayanışma Merkezi” (Centro per la solidarietà femminile, ndr) di Eskişehir, città nel Nordovest della Turchia. “Essere donna in Turchia – spiega – è una sfida quotidiana, contro la tradizione, contro una società patriarcale e maschilista e una politica che mostra poco o nessun interesse per le tematiche di genere“.
Il centro è un luogo sicuro dove le donne in difficoltà possono contare sull’aiuto di psicologhe e avvocati che le guidano nel lungo e difficile processo di denuncia. “Molte vengono qui anche solo per parlare. Per loro confidarsi è fondamentale, perché fuori da queste mura nessuno le ascolta”, racconta la dottoressa. Ascolto, comprensione e solidarietà sono le parole chiave che guidano l’azione delle operatrici del “Kadın Dayanışma Merkezi”: “Nessuna donna è colpevole per la violenza subita. Vogliamo che ogni donna sia consapevole dei propri diritti, e soprattutto, di come farli valere”. Basti pensare cosa significa, ancora oggi, contravvenire ai valori trasmessi dalla tradizione patriarcale turca – continua Gülten – Ma è solo attraverso il superamento di questi tabù che le donne turche potranno emanciparsi vincendo la paura di non farcela”.
I dati raccolti dall’Istituto statistico turco nel 2012 confermano quanto denuncia la psicologa: il 49% delle donne turche dichiara che una buona moglie non deve mai discutere con il marito, e se lo fa merita di essere picchiata. Questo atteggiamento è fortemente radicato nei villaggi (64,5%), nell’Est della Turchia (60%), soprattutto tra le donne delle classi più povere e non istruite (70%). Le donne che hanno accesso all’istruzione, appartenenti alle classi più agiate difficilmente si piegano ai soprusi, rifiutano di sottomettersi alla cultura patriarcale e lottano per vedere rispettati i loro diritti.
«Gli uomini sono responsabili dei comportamenti delle donne della famiglia – dichiara Incilay Cangöz, coordinatrice del Centro per gli Studi di genere e docente presso la facoltà di Comunicazione dell’Università “Anadolu” di Eskişehir – Sono gli uomini infatti a “proteggere” l’onore delle donne che considerano una loro proprietà, e per farlo sono disposti a tutto. Decidono quando e con chi si sposeranno, se potranno studiare o lavorare. Nella maggior parte dei casi le ragazze completano gli studi, ma dopo l’università devono calarsi completamente nel ruolo di madri e mogli”.
Il sistema penale in Turchia presenta numerose lacune sul tema del contrasto alla violenza di genere: “Non esiste una legge che parli di femminicidio e la scarsa rappresentanza femminile nelle aule giudiziarie, in parlamento così come nella politica in generale – dichiara l’avvocato Pınar Çelik Arpacı – fa sì che le leggi rimangano arretrate, figlie di una logica prettamente maschile. Basti pensare al fatto che, in caso di violenza sessuale, viene chiamata a testimoniare solamente la donna, considerata non solo colpevole ma anche consenziente“.