Nel libro La mela sbucciata il racconto delle pioniere dei servizi sociali emiliani, invidiati dal mondo intero, sorti negli anni settanta con la nascita dell'ente Regione. Un lavoro fatto soprattutto da donne ("lo si riteneva a torto di basso profilo") senza sperpero di denaro pubblico: "15 giorni di ferie l'anno in modeste località, era normale vivere così"
“Un ospite di una casa di riposo che stava sbucciando una mela mi disse: per favore la porta a mia moglie? Quando vivevamo assieme a lei piaceva che io gliela sbucciassi. Gli chiesi dove fosse sua moglie e rispose: Nell’altra ala della rocca. Donne e uomini, anche mariti e mogli, vivevano rigidamente separati anche di giorno”. Per parlare di “La mela sbucciata” di Ione Bartoli, 83enne ex assessore della Regione Emilia Romagna ai servizi sociali e la scuola tra il 1970 e il 1980, non si può non iniziare da qui.
Un botta e risposta che risale ai primissimi anni settanta e che racconta lo stato del welfare italiano dell’epoca. Arretratezza anche e soprattutto culturale, povertà di mezzi, asili nido che assicuravano solo il cibo e il sonno a bimbi costretti in enormi camerate e, appunto, case di riposo che separavano marito e moglie anche durante il giorno, e li costringevano a passare gli ultimi anni della propria vita in solitudine. Cos’è successo dagli anni settanta in poi lo racconta proprio “La mela sbucciata” che in quarta di copertina recita: “Nascita e affermazione del welfare nella Regione Emilia Romagna nei ricordi dell’Assessore e di altri protagonisti”.
La presentazione pubblica del libro ha radunato una platea di ex amministratori, politici e funzionari ormai avanti con l’età. In una sola stanza la classe dirigente che ha fatto del welfare emiliano il fiore all’occhiello della buona amministrazione comunista in Italia e nel mondo. Un ritrovarsi che ha visto abbracci di persone che non si vedevano più da anni. Una festa in cui non è mancato il momento polemico quando l’ex presidente della Regione Lanfranco Turci ha iniziato a parlare della Thatcher per poi sparare a zero “su quei giovani sindaci che non si ricordano più da dove sono venuti, e rivendicano come virtuosi provvedimenti forse necessarie vista la situazione, ma che vanno in direzione di una lenta privatizzazione dei servizi pubblici. E’ una cultura politica che ormai guarda verso il liberismo e i suoi modelli amministrativi”. Domanda d’obbligo: scusi Turci, ma chi sono questi giovani sindaci? “Mah, leggo sui giornali del sindaco di Bologna, lui mi sembra uno di questi”.
“La mela sbucciata” inizia il suo racconto nel giugno del 1970, quando si svolgono le prime elezioni regionali e il trionfante Pci sceglie come assessore ai servizi sociali e alla scuola l’allora quarantenne Ione Bartoli. E’ dall’Emilia Romagna, racconta il libro, che nasce la spinta che porterà all’approvazione della legge 1044 sui nidi. E’ l’Emilia Romagna che decide di raddoppiare gli obiettivi nazionali portando dall’8 al 15% la copertura di nidi prevista, che fa nascere i consultori familiari, che sperimenta quel modello di welfare che tanto ha imparato dalle migliori soluzioni del nord Europa.
“La mela sbucciata” racconta l’incessante lavoro di un’amministratrice e delle sue collaboratrici e collaboratori, gli scontri con il mondo cattolico e con la burocrazia statale, la difficoltà del mettere in piedi la macchina amministrativa regionale che all’epoca non esisteva, la sfida enorme di mettere mano a tutto quello che non andava, e cioè un po’ tutto, le carceri, i servizi per l’infanzia, per gli anziani e per i disabili, la creazione della rete di consultori.
Un lavoro “entusiasmante” fatto soprattutto da donne, “e di loro non si parla quasi mai. Questo è uno dei motivi di questo libro”, spiega Bartoli, che già nelle prime pagine – e lo rifarà più volte -, rivendica l’impegno e la vicinanza di quella politica alle persone. “Chi l’avrebbe mai detto che pochi decenni dopo parlare di assessori, consiglieri e funzionari sarebbe suonato quasi come un insulto. Nel decennio 1970/80, non secoli fa, quando ero assessore regionale, al massimo del mio impegno come amministratrice, il mio stipendio mensile era uguale a quello di un operaio metalmeccanico. Facevo 15 giorni di ferie all’anno in modeste località di mare o montagna, e non mi sarei mai sognata una vacanza sulla barca di un amico, anche perché i miei amici avrebbero potuto permettersi al massimo un pattino. Non ero una mosca bianca: era normale vivere così”.
Così come era normale scontrarsi con pregiudizi trasversali. “Per un periodo – racconta Bartoli – sono stata coordinatrice di tutti gli assessori regionali ai Servizi sociali. La cosa strana è che quando si parlava di asili era difficile che nelle riunioni partecipassero assessori maschi: mandavano i funzionari perché ritenevano il problema di basso profilo”. “La mela sbucciata” è anche un libro corale. Se le prime 170 pagine sono scritte da Bartoli, le restanti 150 sono state affidate a funzionarie e amministratrici che negli anni settanta e ottanta hanno contributo a creare il welfare emiliano e le sue eccellenze conosciute in tutto il mondo, prima tra tutte il sistema dei nidi e delle scuole d’infanzia reggiane che già a metà degli anni ottanta veniva presentato a San Francisco in pompa magna. Non erano passati nemmeno 20 anni dal viaggio di Adriana Lodi, assessore all’infanzia bolognese, che a spese proprie visitò i nidi pubblici scandinavi in Svezia e Danimarca per imparare dai migliori. Nel 1991 la rivista Newsweek riconoscerà la scuola d’infanzia “Diana” di Reggio Emilia come “la più bella del mondo”.