“Vi do uno scoop: finirò di fare il sindaco e me ne andrò a casa. Non ho nessuna ambizione, né regionale né nazionale”. Guarda dritto negli occhi Michele Emiliano quando consegna la risposta che nessuno si aspetta. Certo, è difficile crederlo dopo che per incontrarlo il cronista, per una settimana, ha dovuto fare la gimkana tra apparizioni tv, vertici romani e regionali del primo cittadino. L’appuntamento è al secondo piano del palazzo del Consiglio regionale, dove dopo cinque ore di riunione del Pd – a porte chiuse come richiesto dal sindaco – e una telefonata del ministro Cancellieri che lo ha distratto da un primo, timido tentativo di essere intervistato, Emiliano decide che l’attesa è durata abbastanza.
Maglioncino blu – odia giacche e cravatte – e chiavi della moto in mano. “Io non guido la macchina in città. Giro in moto, aiuto il traffico” dice ridendo. Poi chiede: “Allora?”. Sindaco, il bilancio dei dieci anni del suo mandato non è stato tutto rose e fiori. “Bilancio? Io non sono pronto a fare bilanci” scherza ancora. Ma poi si fa serio. Capisce che non può scherzare. Specie quando comprende che non sono i cittadini ‘noti’ ad aver consegnato un ritratto poco edificante del suo doppio mandato. Sono stati i baresi semplici. Quelli che lo hanno votato.
“Nel secondo mandato – spiega il sindaco – è successa la più grande catastrofe economico-finanziaria della storia d’Italia. Ciononostante Bari è il primo Comune per solidità finanziaria e nel prossimo decennio i miei successori saranno tutti tranquilli. Ma di certo negli ultimi anni non potevamo fare le stesse cose che abbiamo fatto quando la crisi non c’era”. Ma le accuse dei cittadini restano. E fanno rumore, perché per loro il sindaco è reo di aver sacrificato il suo impegno per Bari sull’altare di una ribalta politica nazionale. “Solo un radical-chic di sinistra, non sapendo cosa vuol dire amministrare, può avere questa idea di me – ha detto – Nella storia d’Italia credo di essere uno dei sindaci più presenti in Comune”.
Ma quando gli si fa notare che è difficile definire radical-chic di sinistra un anziano seduto su una panchina e arrabbiato come non mai, il sindaco abbassa le difese. “Nel primo mandato, dal 2004 al 2009, sono stati raggiunti maggiori obiettivi”, ammette. E’ infatti proprio nel primo quinquennio che si inseriscono i due grandi risultati: la demolizione di Punta Perotti e la riapertura del Teatro Petruzzelli. “Non ci siamo fermati a questi obiettivi” ha proseguito il magistrato in aspettativa, respingendo le accuse di aver iniziato a grande velocità ed essere arrivato con il freno a mano tirato.
“Stiamo andando avanti. Stiamo facendo il grande ponte sull’asse nord-sud, la metropolitana tra la stazione e l’aeroporto, tremila case popolari”. Si anima quando descrive ciò che ha fatto. Non accetta che non gli sia riconosciuta la rivoluzione che ha portato a Bari. Perché per Emiliano non riconoscere i tanti meriti della sua amministrazione vuol dire peccare di scarsa obiettività. “Se si prende il mio programma – spiega – sfido chiunque a dire che non abbiamo completato o almeno cominciato tutti i punti. Manca solo il decentramento, ma pende in consiglio comunale e spero venga completato presto”.
Per rimarcare le sue ragioni entra nello specifico, attacca dritto e senza giri di parole. Capitolo Punta Perotti. I costruttori hanno negli scorsi anni riottenuto la proprietà dei suoli e sarà necessaria una trattativa per convincerli a spostare i volumi in zone meno pregiate. “I Matarrese (costruttori degli edifici abbattuti, ndr) ne fanno una questione di orgoglio medievale: vogliono costruire lì per dimostrare che la loro famiglia è più forte di Bari. Per questo, è evidente che stanno aspettando che io non sia più sindaco, sapendo che con me non c’è niente da fare e questo fattore mi inorgoglisce”.
“Il volto di Bari è cambiato radicalmente” dice convinto il primo cittadino. “Mi è stata consegnata una città allo sbando, dove il figlio del capomafia cantava al fianco di Di Cagno Abbrescia (l’ex sindaco) al concerto di capodanno e il potere era in mano a quattro o cinque famiglie che se la cantavano e se la suonavano”. Per questo rivendica a gran voce il successo dell’Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità. Organo che per Emiliano “ha funzionato benissimo soprattutto nel riutilizzo dei beni confiscati alla mafia e messi a disposizione delle associazioni. La società barese però è stata sempre indifferente e scettica”.
Tra le rivoluzioni annunciate dal primo cittadino c’è anche la volontà di trasformare Bari in una ‘Smart city‘. Su questo ambizioso proposito pesano le criticità relative alla raccolta dei rifiuti che registrano ancora percentuali molto basse di differenziata. Per Emiliano la spiegazione è semplice: “Noi non abbiamo l’impianto per la raccolta dell’umido e siamo stati costretti a chiedere da soli come Comune il finanziamento dell’impianto di compostaggio. Oggi fare la differenziata avrebbe significato aggravare i costi per il contribuente barese. Avremmo dovuto raddoppiare la tassa sui rifiuti”.
Se qualcuno poi chiede conto della promessa elettorale di creare 30mila nuovi posti di lavoro, il sindaco risponde con un po’ di ironia. E snocciola esempi: “Può darsi che qualcuno si aspettava di essere assunto alle poste come facevano i democristiani o i socialisti. Nell’area metropolitana di Bari ci sono stati migliaia di nuovi contratti di lavoro. Basta vedere le decine di cantieri in corso, per opere gigantesche come il ponte dell’asse nord-sud con centinaia di persone che stanno lavorando o come il nuovo quartiere Japigia dove sono impegnate migliaia di persone”.
A nove anni dalla sua elezione, tuttavia, Michele Emiliano ammette che “si può sempre fare di più”, ma non appare affatto insoddisfatto del suo lavoro. E prima di congedarsi consegna un’altra frase ad effetto sul futuro della città: “Preferisco che il prossimo sindaco di Bari sia un grillino, purché aperto, piuttosto che un ‘inciuciato’ tra destra e sinistra utile solo a far dire che la città è rimasta nelle mani del centro-sinistra“.
di Roberto Rotunno e Mary Tota