Secondo il magistrato, Roberto Aniello, nelle sentenze di primo e secondo grado che hanno assolto Alberto Stasi dall’accusa dell’omicidio ci sono "evidenti illogicità", "lacune e incongruenze" e una "sopravvalutazione della prova scientifica"
Riaprire il processo per l’omicidio di Chiara Poggi, la studentessa massacrata nella sua casa di Garlasco (Pavia). E’ la richiesta del procuratore generale della Cassazione. Secondo il magistrato, Roberto Aniello, nelle sentenze di primo e secondo grado che hanno assolto Alberto Stasi dall’accusa dell’omicidio ci sono “evidenti illogicità”, “lacune e incongruenze” e una “sopravvalutazione della prova scientifica”. Il pg ha chiesto quindi l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.
Per il pg Stasi è l’autore del delitto di Chiara: “Fu colto dal panico”. Per Aniello il bocconiano è colpevole dell’omicidio della ragazza uccisa il 13 agosto 2007. Secondo il pg “l’autore dell’omicidio ben conosceva la vittima come pure la casa” e “non ci sono elementi che parlino di altre persone” all’infuori di Stasi “che potessero avere un movente per uccidere Chiara Poggi”. Di più, secondo la pubblica accusa di piazza Cavour, Alberto Stasi la mattina del 13 agosto sarebbe stato colto dal “panico” e sarebbe rientrato a casa Poggi “per controllare se Chiara era viva o morta”. Insomma, Alberto Stasi, per dirla col pg “ha simulato il ritrovamento del cadavere di Chiara“.
Per il magistrato è stato ”incongruo” il rigetto dell’esame del capello rinvenuto nella mano sinistra della vittima: “Che sia caduto da solo o per effetto di una trazione non capisco che rilevanza abbia. E’ un capello della vittima o dell’aggressore e questo deve essere accertato”. Aniello introduce anche l’elemento di una telefonata muta di ben 12 secondi attivata in realtà dal sistema automatico di allarme dell’abitazione, ma che avrebbe indotto Stasi a ritenere che Chiara fosse ancora viva. Secondo l’accusa le “ipotesi accusatorie” sono “sorrette da validi motivi”. “Stasi – ha spiegato Aniello – ha effettuato una serie di telefonate sia da fisso che da cellulare ad intervalli cadenzati, arrivando a fare ad un certo punto ben sette chiamate” in un breve arco di tempo. “Intorno alle 13 e 26, 13 e 27 – ha proseguito il procuratore generale – c’è stata una chiamata di Stasi al fisso della famiglia Poggi che ha avuto una risposta muta di dodici secondi data in automatico dal sistema di allarme” predisposto per attivarsi in tal senso. Stasi è quindi “rimasto in linea dodici secondi, un tempo non brevissimo – ha rilevato Aniello – ma interrogato non dirà mai di aver avuto questa risposta muta e di essere rimasto in linea per dodici secondi”. In base a questo quadro “ritengo ragionevole che Stasi colto dal panico e credendo che la vittima si fosse ripresa sia entrato per controllare se Chiara fosse viva o morta. E forse ha fatto i primi gradini della scala su cui si trovava il corpo evitando consapevolmente le macchie di sangue”.
I giudici di secondo grado: “Realtà è rimasta inconoscibile”. I giudici di secondo grado nel motivare l’assoluzione avevano parlato di una ”realtà rimasta inconoscibile” in quanto gli accertamenti ‘scientifici’ dei periti, già disposti in primo grado, non hanno portato ad alcun ”risultato probatorio” rispetto alla colpevolezza di Stasi. Per quella Corte, i due indizi a carico del giovane, cioè le tracce del Dna della vittima rinvenute su pedali della sua bici e l’impronta del giovane stesso sul dispenser del sapone nel bagno della villetta di Garlasco, non erano ”gravi”. A ciò si aggiungeva il fatto che l’assenza di macchie ematiche sulle suole delle scarpe indossate da Stasi quando ritrovò il cadavere della fidanzata, non significava, come sostenevano accusa e parte civile, che ”non attraversò la scena del delitto” e quindi che avesse mentito. Anzi l’analisi delle suole delle Lacoste (consegnate 17 ore dopo la scoperta del cadavere) su cui si erano concentrati i periti, con ”approcci metodologici di acclarato vaglio scientifico”,, avevano fornito ”esiti sperimentali solo orientativi” e ”approssimativi” e che non avevano portato ”ad alcun utile risultato probatorio”. I magistrati nelle motivazioni avevano anche introdotto una nuova ipotesi: “Scenari attraversati da altri protagonisti, e che forse sono stati caratterizzati da progressioni criminose non esplorate, e quindi rimaste ignote”.
Il pg Milano in appello chiese tre nuove perizie. Il pg di Milano, Laura Barabaini, aveva sostenuto invece che l’accusa fosse stata provata e aveva chiesto tre nuove perizie nei motivi d’appello: la prima per valutare “tutti i possibili percorsi” compiuti dal giovane nella villetta dove scoprì il corpo martoriato Chiara; la seconda sulle suole delle scarpe da ginnastica indossate dal giovane per valutare la loro capacità di “trattenere tracce ematiche”; infine una perizia sul computer di Stasi e sull’apertura dei file la sera prima dell’omicidio. Per l’accusa Stasi non aveva un alibi e non era al pc mentre Chiara moriva. Sotto accusa c’era, per il procuratore, anche l’atteggiamento di Alberto la mattina del delitto: non si sarebbe comportato, aveva scritto nei motivi d’appello ripetuti in aula, secondo “criteri logici di condotta allorché per ben otto volte nel giro di poche ore, chiama intensamente Chiara sul cellulare e sul numero fisso di casa, senza ricevere risposta” restando però inattivo; anzi “è del tutto conforme, sul piano della logica coerenza, che il freddo e calcolato autore dell’omicidio … scelga deliberatamente di effettuare otto telefonate, senza spostarsi in quanto deve costruirsi l’alibi della permanenza in casa, e scelga deliberatamente di far apparire di essere in grado di lavorare al computer nonostante l’efferato omicidio”. Quanto al movente, il sostituto procuratore generale riteneva fosse da individuare nel timore di Stasi di vedere divulgata la sua propensione maniacale per la pornografia e, in particolare, che ne venissero a conoscenza i genitori di Chiara. Propensione per cuui la corte d’appello di Milano, il 14 marzo 2013, ha confermato la condanna a 30 giorni di reclusione, convertiti in una pena pecuniaria di 2.540 euro per detenzione di materiale pedopornografico.
La difesa: “Mai gravi indizi di colpevolezza”. “Durante i sei anni del procedimento nessun giudice ha identificato gravi indizi di colpevolezza su Alberto Stasi”ha detto il difensore di Stasi, Angelo Giarda, nella sua arringa chiedendo che i ricorsi contro la sentenza d’assoluzione di secondo grado presentati dalla procura generale e dalle parti civili siano dichiarati inammissibili o infondati. Secondo l’avvocato, quello che “non ha funzionato è lo sforzo investigativo disposto dall’ufficio del pubblico ministero, che si è ostinato su Stasi”. “Io ho anche pensato che potesse essere un caso di premeditazione con dolo d’impeto, ma lo abbiamo provato? – si è chiesto il legale – Ed era solo Stasi l’unico destinatario di queste ipotesi?”. Secondo il legale, inoltre, “gli indizi evocati dall’accusa non attengono mai alla prova diretta del fatto principale, ma a profili di contorno”. “La mamma di Chiara Poggi ha ragione a chiedere giustizia ma non si può chiedere giustizia sulla testa di Alberto Stasi”.
I giudici si sono ritirati in camera di consifglio. La sentenza è prevista per le 10 di giovedì 18 aprile.