Mario e Federico sono, rispettivamente, un dirigente dei Cinque stelle e uno dei Giovani Democratici. Nessuno dei due è granché importante: non sono certo loro a dare gli ordini, e hanno alle spalle dei partiti molto oligarchici, il vecchio e il nuovo. Sono tuttavia un buon esempio dell’ossatura militante dei due partiti: son loro e i loro simili, in realtà, a portare avanti la baracca. I capi e gli “ideologi” – vecchi apparatciki e rampanti guru – poi vengono a mettersi su il cappello, ad emanare proclami e distillare strategie. Ma la fanteria sono loro, Federico e Mario, quelli che tengono le colline e avanzano metro a metro. E a me fin da piccolo è stato insegnato che sono i fanti a vincere le battaglie, e non i generali.
Di questi due amici io sono orgoglioso per due motivi. Uno è che sono siciliani – non parlo di geografia, ovviamente – e non hanno tradito mai questa parola. Uno faceva antimafia – l’ho visto crescere – fin da ragazzino. L’altro, fra gli Ordini superiori e l’antimafia, nei momenti difficili ha scelto la seconda.
L’altro motivo del mio orgoglio è che in tutta questa crisi (una crisi buffa e retorica, molto italiana) non li ho mai visti perdere le staffe. Non si sono mai montati la testa, non hanno mai alzato la voce, non hanno mai sprezzantemente ingiuriato chi non la pensava a modo loro. A differenza dei capi, vanità e intolleranza non sono nella loro natura. Perciò, tutto sommato, io mi fido di loro.
Hanno capito la cosa che i loro grandi lìder – vecchi e nuovi – non sono riusciti a capire subito, nonostante l’avessero capito immediatamente quaranta milioni di italiani. E cioè che con queste elezioni – che nascono dalle primarie dei tre milioni e dalle centinaia di meetup sparse per tutt’Italia – il popolo italiano ha dato un comando preciso: vogliamo un governo che cambi tutto, con quelli che ci stanno, e contro Berlusconi. Non vogliamo più chiacchiere, non vogliamo più promesse vecchie e nuove. Vogliamo un nostro governo, magari avventuruoso ma nostro. “Es un gobierno de mierda, pero es el nuestro gobierno”.
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In questa situazione, è stato generoso Bersani e scioccamente avaro Beppe Grillo. Il primo ha rinunciato da subito a tutta una serie di condizioni, rendendosi disponibile a un accordo. Il secondo ha alzato una serie di paletti ideologici o peggio – “arrendetevi!”, “noi comandiamo da soli!” – che, soddisfacendo piccoli orgogli, hanno tuttavia tradito la volontà del popolo sovrano.
Adesso, a quanto pare, si sono invertite le parti: è Grillo a voler trattare e Bersani a preoccuparsi invece del “gradimento” di Berlusconi; e quindi non dico a proporre ma a prendere in considerazione – ciò che è già gravissimo – i più vieti esponenti dell’antica nomenklatura. A sua, assai parziale, discolpa sta l’inaffidabilità e il tradimento degli irresponsabili boiardi del suo partito, pronti a distruggere tutto in nome di una personale carriera.
Un imbroglio del genere sarebbe non solo la rovina quasi immediata del partito democratico – che pur dovrebbe sentire la responsabiità di ereditare oltre cent’anni di storia al servizio dei lavoratori e della Nazione – ma la fine di ogni speranza nutrita dai cittadini elettori, sia democratici che cinque stelle, nel momento in cui infilavano nell’urna il proprio voto. Sarebbe l’inchiodamento definitivo al berlusconesimo, non solo come governo politico ma come infinito regime.
Noi, che non abbiamo carriere politiche né status da ambire o da difendere, che serviamo gratis, che apparteniamo unicamente al povero e orgoglioso partito degli italiani precari, abbiamo a suo tempo segnalato la vanità irresponsabile dei Casaleggio e dei Grillo. Adesso, la colpa e il biasimo rischiano di ricadere su Bersani.
Esitare fra un Rodotà e un Amato non è concesso a un dirigente della sinistra italiana, a uno che in buona fede ha pur parlato di rinnovamento. Quale rinnovamento, dunque? Ne parlavamo sul serio, o abbiamo solo scherzato?
Si elegga un Presidente non “al di sopra delle parti” ma di una parte precisa, la parte democratica e fedele alla Repubblica italiana. Si isoli il corruttore, il golpista, il nemico della Costituzione Berlusconi. Mai, nenche per un attimo, si prenda ad interlocutore lui e il suo partito; se ne persegua invece la punizione, secondo le norme vigenti, per gli attentati e i reati compiuti contro le leggi e la Costituzione.
Questo è richiesto ed è possibile ed è la volontà del popolo italiano. Nè Federico nè Mario, nè alcuno dei militanti fedeli di ognuno dei due partiti, ha il minimo dubbio in proposito. Agli uni è toccato il dovere, quando era Grillo a oscillare, di richiamarlo all’ordine. Adesso, tocca agli amici di Bersani.
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Né l’uno né l’altro partito, quanto a sé, son tali da entusiasmare. L’uno dominato da oligarchi, l’altro di proprietà di una persona. Entrambi assai benevoli con gl’industriali, ma con gli operai molto meno. Omertosi, tutt’e due, su Marchionne. Prodighi di speranze e di promesse, restii a indicare al popolo i sacrifici da fare; oscuri sulla ripartizione di essi. Neanche una parola sugli immigrati, perseguitati per due decenni eppure pilastro insostituibile dell’economia coi calli, quella vera e non virtuale. Infine – peggio di tutto – antimafia, poca o niente.
Noi, come società civile, accettiamo la sfida. Accettiamo un Pd-M5 al governo, fidando che lungo la strada la realtà dei problemi concreti costringa tutti costoro a migliorare (non senza, beninteso, una sana e screanzata pressione popolare). Questo possiamo accettarlo, a denti stretti. Ma un tradimento no. Da Bersani o da Grillo, da vecchi o nuovi politici, giovani o anziani, da chiunque e comunque posto e comunque motivato, un tradimento al volere del popolo – governo di cambiamento, immediato e concreto – non lo tollereremmo mai. Attenti, tutt’e due, state attenti.