L’Umbria non è esattamente la regione vinicola più celebrata d’Italia. E di certo non è nota per i bianchi, spesso offuscati dall’eccellenza regionale del Sagrantino di Montefalco, splendido rosso di grande struttura. Non per tutti i palati, sicuramente non per tutti i giorni.
L’immediatezza e la freschezza sono solitamente (non sempre) il campo da gioco del Grechetto: profumato, leggero ed economico, sta trovando anche espressioni autonome complesse, ma spesso è la base della gran parte degli uvaggi regionali. Come del Bianco Fiero di Cantina Margò: un vino naturale, con una rapida fermentazione a tino aperto su lieviti indigeni e dal rapporto qualità prezzo eccellente. Quando l’ho scoperto (meno di tre anni fa) il produttore, Carlo Tabarrini, ne produceva poche centinaia e lo vendeva a soli 5 euro in cantina. Ora sta crescendo e distribuisce anche all’estero, ma non avendo assaggiato la nuova annata, ho riprovato la 2009 e l’evoluzione è stata sorprendente. All’apertura si è mostrato un po’ chiuso, con un leggero sentore di tappo, ma prima di storcere il naso è giusto dargli tempo. Un paio d’ore e si è totalmente aperto ed è esplosa la sua mineralità, la bella nota fruttata e perfino idrocarburica, tanto da suggerirmi un esperimento da enostrippato all’ultimo stadio, ma dall’interessante valore empirico: ne ho bevuto un bicchiere ogni sera trovandone sempre più complessità olfattiva e ricchezza.
Tanto di cappello per un piccolo produttore che partito con mezzo ettaro, una cassa integrazione, tanta passione e una vinificazione non invasiva (nessuna filtrazione, chiarificazione, o lievitazione selezionata e un bassissimo contenuto di solforosa) sta riscontando il meritato successo, anche grazie a quella bella vetrina che è il Vinnatur di Villa Favorita, dove da due anni è presente con le sue bottiglie.
Più convenzionale ma di grande interesse l’Orvieto Classico Superiore Terre Vineate, dell’azienda Palazzone. Un uvaggio a base Procanico, che nella versione 2011 mostra inedite potenzialità di struttura, anche in confronto alle precedenti annate. Tanto che, nonostante la spiccata sapidità ne risente un po’ la beva, fin troppo densa, ma è un vino dotato di grande spinta, bello al naso e abbastanza lungo. La guida 2013 dell’Espresso lo celebra anche eccessivamente (“miglior Orvieto Doc dell’anno”) ma è un ottimo bere. Il costo in enoteca è sui 15 euro.
Chiudo con un altro bianco naturale: l’esaltante Trebbiano Spoletino Vigna Vecchia di Collecapretta, azienda agricola dove Vittorio Mattioli imbottiglia dal 2006 una serie di bottiglie splendide. Un vino a cui sono emotivamente legato e della cui scoperta devo ringraziare un nome molto noto da queste parte come Andrea Scanzi – che mi portò in azienda qualche anno fa. Fu un momento di consapevolezza importante per il sottoscritto e riassaggiare l’ultima annata (il 2011) è stato un bel tuffo nel passato. Un bianco fieramente di territorio, del tutto privo di chimica, dalla spiccata acidità e dalla godibilità assoluta. Un vino contadino nell’accezione più nobile e meno retorica del termine.