Lunedì 15 aprile sono state consegnate alla nuova Presidente della Camera, Laura Boldrini, le oltre 50.000 firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare per l’introduzione di un reddito minimo garantito in Italia. La proposta di legge è frutto del lavoro dei promotori della campagna “Reddito minimo garantito, a cui ha aderito anche San Precario.

Secondo la proposta di legge presentata, per accedere al reddito minimo garantito, erogato dall’Inps, bisogna:

-essere residenti in Italia da almeno 24 mesi, avere un’età compresa tra 18 e 65 anni e  essere iscritti alle liste di collocamento dei centri per l’impiego, salvo che per lavoratori autonomi, lavoratori a tempo parziale, oppure lavoratori che hanno subito la sospensione della retribuzione nei casi di aspettativa non retribuita per gravi e documentate ragioni familiari;

– aver avuto, nell’anno precedente alla domanda, un reddito personale imponibile non superiore ad 8 mila euro (questo significa che se si percepisce un assegno minimo superiore ai 600 euro al mese, l’anno dopo non si può chiedere il reddito minimo, in quanto la domanda deve essere ripresentata ogni anno);

– avere un reddito familiare complessivo non superiore ad una cifra che dovrà essere decisa da un regolamento successivo;

– non aver maturato i requisiti per il trattamento pensionistico;

– non essere in possesso a livello individuale di un patrimonio mobiliare o immobiliare superiore a quanto stabilirà un regolamento (è esclusa dal conteggio la prima casa).

La proposta prevede, per inoccupati, disoccupati e precari, un beneficio individuale in denaro pari a 7.200 euro l’anno, da corrispondere in importi mensili di 600 euro, rivalutati annualmente sulla base degli indici sul costo della vita dell’Istat. L’importo cresce se si hanno dei familiari a carico. Se il nucleo familiare è di due persone il coefficiente sale e il reddito minimo diventa di mille euro; tre persone 1.330 euro; quattro 1.630 euro; cinque 1.900 euro.

Si prevede inoltre che il Governo venga delegato, entro il termine di novanta giorni dall’entrata in vigore della proposta legge, a riformare la disciplina degli ammortizzatori sociali, in modo tale da introdurre un sussidio unico di disoccupazione, esteso a tutte le categorie di lavoratori in stato di disoccupazione, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di provenienza e dall’anzianità contributiva e assicurativa. Inoltre il governo è tenuto a deliberare per l’introduzione di un salario minimo.

Oltre al reddito minimo erogato in contanti, la proposta di legge prevede anche, per chi ne ha diritto, un “contributo parziale o integrale per fronteggiare le spese impreviste, secondo i criteri e le modalità stabilite dal regolamento d’attuazione”. Ovvero trasporti, libri, prestazioni sanitarie gratis o aiuti per pagare l’affitto.

La proposta di legge intende mettere in conto all’Inps le spese per sostenere il reddito minimo di base e creare un Fondo da finanziare con la fiscalità generale, tramite un trasferimento dal bilancio dello Stato all’Inps delle somme necessarie, con conguaglio, alla fine di ogni esercizio, sulla base di specifica rendicontazione. A tal fine, è istituito un Fondo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui confluiscono dotazioni provenienti dalla fiscalità generale.

La domanda di reddito minimo garantito va presentata al Centro per l’impiego del luogo di residenza del richiedente, ogni anno. “Il Centro per l’impiego – si legge nella proposta di legge – acquisisce la documentazione necessaria e provvede nel termine di dieci giorni. In caso di mancata risposta la domanda si intende accolta.” La proposta fa saltare l’erogazione dell’assegno nel caso in cui si sia beneficiari di altri trattamenti di sostegno al reddito di natura previdenziale. Ovvero: cassa integrazione, assegno sociale, pensione sociale, assegno ai nuclei familiari numerosi, assegno di maternità di base, pensione di inabilità, indennità di frequenza, assegno di invalidità, pensione per i ciechi, pensione per i sordi, social card minori, social card anziani.

La proposta, infine, prevede che il reddito minimo decada se si è dichiarato il falso, si è compiuto il 65esimo anno d’età, si riceve la pensione, si venga assunti con contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, o si svolga un’attività autonoma, in tutti i casi con un reddito imponibile superiore agli 8 mila euro, se si rifiuta una proposta di lavoro offerta dal Centro per l’impiego territorialmente competente, che non sia congrua al salario precedente, oppure che disti più di50 km dal luogo di residenza  e alla professionalità acquisita.

Tale proposta di legge, per quanto riguarda l’Italia, è sicuramente una proposta avanzata. Non si tratta di un reddito di base di inserimento (come invece prevede la proposta di legge, targata Pd), cioè condizionata all’accettazione obbligatoria di un percorso di inserimento lavorativo. Non è rivolta ai soli disoccupati (come pare preveda la proposta del M5s). Se venisse approvata, sarebbe un inequivocabile passo in avanti. Tuttavia, per correttezza e per avviare anche una discussione in merito, vogliamo sollevare alcune criticità, che potranno essere sicuramente eliminate nel futuro.

Condizionare l’erogazione del reddito a un’offerta di lavoro che sia congrua alle caratteristiche occupazionali del beneficiario riduce (ma non elimina) il grado di condizionabilità e quindi il rischio di forme di coazione al lavoro. Come già discusso anche su questo blog, la questione è nevralgica. Solo se il reddito è incondizionato e vi è la più ampia libertà di scelta  (e quindi di rifiuto) del lavoro, è possibile rompere la gabbia imposta dal ricatto della precarietà. Poter rifiutare un lavoro se non ritenuto congruo è comunque una possibilità che solo la fascia di lavoro più istruita e/o con titoli di studio validi è in grado di attuare, con il rischio che la maggior parte dei lavoratori dequalificati o dei migranti siano costretti a accettare qualunque lavoro proposto. Non era meglio parlar direttamente di Reddito minimo incondizionato?

Inoltre, il limite dei 65 anni può apparire riduttivo, se si pensa che di questi tempi l’età pensionabile è progressivamente in aumento (oggi 67 anni) e che comunque sono numerose le persone over65 che vivono una situazione di povertà. Non sarebbe stato meglio definire come beneficiari tutte le persone fisiche che si trovano a godere di redditi inferiori agli 8.000 euro l’anno, senza fissare limiti di età?

Risulta, infine poco chiaro, perché tale reddito minimo debba essere erogato dall’Inps (a meno che non ci siano vincoli tecnici). Se il suo costo ricade sulla fiscalità generale, perché non viene erogato direttamente dai centri per l’impiego, lasciando all’Inps il solo compito di gestire la spesa previdenziale, favorendo quell’auspicata distinzione tra previdenza e assistenza?

Infine un’ultima nota di metodo: la formulazione della proposta di legge è stata fatta sulla base esclusiva di contatti con esperti e accademici. Forse un maggior coinvolgimento di quelle soggettività di lavoro e di vita e di quelle forme di autorganizzazione  precaria che più potrebbero beneficiare di tale proposta sarebbe stato auspicabile, in modo da meglio rappresentare il punto di vista precario.

Si tratta quindi di una proposta di legge che può essere migliorata. Tuttavia, essa rappresenta uno strumento utile (non il solo) per proseguire la lotta per il superamento della precarietà e per allentare i vincoli posti dal ricatto del bisogno. Per questo, crediamo valga la pena impegnarsi per una sua approvazione ed un suo miglioramento nei tempi più rapidi possibili.

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