Barack Obama non è un presidente emotivo. Non è un presidente che ama mostrare quello che prova. Ma l’uomo che è apparso nel Rose Garden della Casa Bianca, dopo il voto del Senato americano sulle armi, è stato un presidente che non ha avuto paura di mostrare la sua emotività. Teso, arrabbiato, in alcuni momenti indignato, Obama ha parlato di “un giorno vergognoso” per la politica di Washington. Ha accusato il Senato di andare contro “il 90% degli americani” per puro calcolo politico e promesso che la battaglia per limitare la vendita delle armi continuerà nei prossimi mesi. Quella che però si profila, per la Casa Bianca, è una fase di instabilità che mette a repentaglio l’agenda delle riforme del presidente.
Nel caso dell’intesa sulle armi, Obama ha disatteso, per la prima volta forse nella sua carriera, la famosa “Obama rule”: la regola che consiglia di non abbracciare politicamente una questione, se non si è sicuri della vittoria. In questo caso, però, è stato diverso. Nel caso delle armi, Obama ha gettato tutto il suo personale peso politico, e quello della sua amministrazione, per arrivare a una legge che in fondo ambiva a molto poco: allargare anche alle transazioni private l’obbligo di controllo e registrazione della vendita di un’arma (obbligo che esiste già per il 60% delle transazioni, quelle che hanno luogo nei negozi specializzati e nei grandi magazzini). Si trattava, appunto, di un obiettivo modesto, su cui è d’accordo il 90% degli americani e su cui, sino a qualche anno fa, concordava anche la National rifle association, la lobby delle armi. Per raggiungere l’obiettivo, Obama ha fatto molto: contatti privati con i senatori; frequenti interventi pubblici; il trasporto a Washington, sull’Air force one, di 12 parenti delle vittime di Newtown, in modo che potessero fare attività di lobbying sul Senato.
Era chiaro che questo voto aveva per Obama un significato molto più che politico. Poche ore dopo la strage di Newtown, il presidente aveva incontrato i genitori dei 20 bambini ammazzati nella Sandy Hook elementary school e aveva promesso loro, da genitore, che avrebbe fatto tutto il possibile “perché queste follie non si ripetessero più”. Si spiega dunque con questo coinvolgimento personale, da padre più che da semplice presidente, la furia con cui Obama ha accolto il voto del Senato (54 a favore, 46 contro, ma per far passare la legge ci volevano 60 voti). Si spiegano così le parole, mai così dure da anni, con cui il presidente ha accolto il voto del Senato. “Una minoranza di senatori, andando contro il 90% degli americani, ha deciso che non vale la pena di proteggere la vita dei bambini”, ha detto Obama. Il loro voto, ha continuato, “ha avuto ragioni puramente politiche. Questa gente ha paura della reazione della National rifle association”. Fonti dell’amministrazione raccontano di un presidente furioso, soprattutto contro i quattro democratici che si sono uniti alla grande maggioranza dei repubblicani nell’opporsi alla misura. Tre dei quattro – Mark Begich dell’Alaska, Mark Pryor dell’Arkansas e Max Baucus del Montana – sono in lizza per la rielezione l’anno prossimo. La quarta, Heidi Heitkamp del North Dakota, non ha invece necessità di rielezione in vista. Contro di lei, dicono fonti dell’amministrazione, si è diretta con particolare veemenza l’ira di Obama.
Resta a questo punto il futuro della legge per il controllo sulle armi ma, più in generale, dell’intera agenda delle riforme del secondo mandato. Immediatamente dopo il voto del Senato, “Organizing for action”, la macchina politico-elettorale di Obama, si è messa in movimento, lanciando un “giorno dell’azione” per sabato prossimo, e chiedendo agli americani di inondare i loro deputati e senatori di mail e telefonate chiedendo un impegno diretto per limitare la vendita delle armi. E’ comunque improbabile che, nei prossimi mesi, ci possa essere un’intesa. I repubblicani della Camera non hanno nessuna intenzione di aiutare Obama, e nemmeno quelli del Senato – con quattro eccezioni, Pat Toomey, Susan Collins, John McCain e Steven Kirk – appaiono particolarmente ansiosi di fornire i voti che mancano alla Casa Bianca. Nonostante l’impegno personale, e la mobilitazione politica, una nuova legge sulle armi, con ogni probabilità, non ci sarà.
C’è poi tutto quello che Obama aveva promesso il giorno del discorso di insediamento. Debito pubblico, appoggio ai diritti gay, energia, immigrazione (la prossima riforma in dirittura d’arrivo). La sconfitta nel voto sulle armi, e l’attentato di Boston, indeboliscono oggettivamente Obama, ne mettono in discussione le qualità di “commander-in-chief” e il carisma politico. I settori più conservatori del partito repubblicano potrebbero cogliere l’occasione per mettere a tacere quei deputati e senatori repubblicani più aperti al dialogo, per approfondire l’attacco a Obama e ridurlo a un puro spettatore per i restanti tre anni della sua presidenza. Un processo di progressiva presa di distanza dalla Casa Bianca potrebbe interessare anche i democratici più moderati. Lo hanno spiegato diversi tra loro, in questi giorni. Le riforme di Obama – soprattutto la terna “Gun, Gays, Immigration”, armi, gay e immigrazione – rischiano di apparire troppo sbilanciate sul versante progressista e faticano a incontrare l’adesione incondizionata dei democratici eletti negli Stati più conservatori.
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Senato Usa, dopo il no al ‘Gun control’, la rabbia di Obama: “Avete paura delle lobby”
Come previsto, il partito repubblicano - più quattro democratici - ha votato contro la proposta di legge sul controllo sulla vendita delle armi da assalto. Furioso il presidente americano che in questa battaglia ha speso tutto il suo peso politico: "Una vergogna per l'America"
Barack Obama non è un presidente emotivo. Non è un presidente che ama mostrare quello che prova. Ma l’uomo che è apparso nel Rose Garden della Casa Bianca, dopo il voto del Senato americano sulle armi, è stato un presidente che non ha avuto paura di mostrare la sua emotività. Teso, arrabbiato, in alcuni momenti indignato, Obama ha parlato di “un giorno vergognoso” per la politica di Washington. Ha accusato il Senato di andare contro “il 90% degli americani” per puro calcolo politico e promesso che la battaglia per limitare la vendita delle armi continuerà nei prossimi mesi. Quella che però si profila, per la Casa Bianca, è una fase di instabilità che mette a repentaglio l’agenda delle riforme del presidente.
Nel caso dell’intesa sulle armi, Obama ha disatteso, per la prima volta forse nella sua carriera, la famosa “Obama rule”: la regola che consiglia di non abbracciare politicamente una questione, se non si è sicuri della vittoria. In questo caso, però, è stato diverso. Nel caso delle armi, Obama ha gettato tutto il suo personale peso politico, e quello della sua amministrazione, per arrivare a una legge che in fondo ambiva a molto poco: allargare anche alle transazioni private l’obbligo di controllo e registrazione della vendita di un’arma (obbligo che esiste già per il 60% delle transazioni, quelle che hanno luogo nei negozi specializzati e nei grandi magazzini). Si trattava, appunto, di un obiettivo modesto, su cui è d’accordo il 90% degli americani e su cui, sino a qualche anno fa, concordava anche la National rifle association, la lobby delle armi. Per raggiungere l’obiettivo, Obama ha fatto molto: contatti privati con i senatori; frequenti interventi pubblici; il trasporto a Washington, sull’Air force one, di 12 parenti delle vittime di Newtown, in modo che potessero fare attività di lobbying sul Senato.
Era chiaro che questo voto aveva per Obama un significato molto più che politico. Poche ore dopo la strage di Newtown, il presidente aveva incontrato i genitori dei 20 bambini ammazzati nella Sandy Hook elementary school e aveva promesso loro, da genitore, che avrebbe fatto tutto il possibile “perché queste follie non si ripetessero più”. Si spiega dunque con questo coinvolgimento personale, da padre più che da semplice presidente, la furia con cui Obama ha accolto il voto del Senato (54 a favore, 46 contro, ma per far passare la legge ci volevano 60 voti). Si spiegano così le parole, mai così dure da anni, con cui il presidente ha accolto il voto del Senato. “Una minoranza di senatori, andando contro il 90% degli americani, ha deciso che non vale la pena di proteggere la vita dei bambini”, ha detto Obama. Il loro voto, ha continuato, “ha avuto ragioni puramente politiche. Questa gente ha paura della reazione della National rifle association”. Fonti dell’amministrazione raccontano di un presidente furioso, soprattutto contro i quattro democratici che si sono uniti alla grande maggioranza dei repubblicani nell’opporsi alla misura. Tre dei quattro – Mark Begich dell’Alaska, Mark Pryor dell’Arkansas e Max Baucus del Montana – sono in lizza per la rielezione l’anno prossimo. La quarta, Heidi Heitkamp del North Dakota, non ha invece necessità di rielezione in vista. Contro di lei, dicono fonti dell’amministrazione, si è diretta con particolare veemenza l’ira di Obama.
Resta a questo punto il futuro della legge per il controllo sulle armi ma, più in generale, dell’intera agenda delle riforme del secondo mandato. Immediatamente dopo il voto del Senato, “Organizing for action”, la macchina politico-elettorale di Obama, si è messa in movimento, lanciando un “giorno dell’azione” per sabato prossimo, e chiedendo agli americani di inondare i loro deputati e senatori di mail e telefonate chiedendo un impegno diretto per limitare la vendita delle armi. E’ comunque improbabile che, nei prossimi mesi, ci possa essere un’intesa. I repubblicani della Camera non hanno nessuna intenzione di aiutare Obama, e nemmeno quelli del Senato – con quattro eccezioni, Pat Toomey, Susan Collins, John McCain e Steven Kirk – appaiono particolarmente ansiosi di fornire i voti che mancano alla Casa Bianca. Nonostante l’impegno personale, e la mobilitazione politica, una nuova legge sulle armi, con ogni probabilità, non ci sarà.
C’è poi tutto quello che Obama aveva promesso il giorno del discorso di insediamento. Debito pubblico, appoggio ai diritti gay, energia, immigrazione (la prossima riforma in dirittura d’arrivo). La sconfitta nel voto sulle armi, e l’attentato di Boston, indeboliscono oggettivamente Obama, ne mettono in discussione le qualità di “commander-in-chief” e il carisma politico. I settori più conservatori del partito repubblicano potrebbero cogliere l’occasione per mettere a tacere quei deputati e senatori repubblicani più aperti al dialogo, per approfondire l’attacco a Obama e ridurlo a un puro spettatore per i restanti tre anni della sua presidenza. Un processo di progressiva presa di distanza dalla Casa Bianca potrebbe interessare anche i democratici più moderati. Lo hanno spiegato diversi tra loro, in questi giorni. Le riforme di Obama – soprattutto la terna “Gun, Gays, Immigration”, armi, gay e immigrazione – rischiano di apparire troppo sbilanciate sul versante progressista e faticano a incontrare l’adesione incondizionata dei democratici eletti negli Stati più conservatori.
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Washington, 21 dic. (Adnkronos) - Sono stati registrati oltre 12.340 decessi di civili in Ucraina da quando la Russia ha iniziato la guerra nel febbraio 2022. Lo ha dichiarato il sottosegretario generale dell'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo (Unoda) Izumi Nakamitsu, durante la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di ieri. Il rapporto dell'Onu sulle vittime giunge mentre il presidente russo Vladimir Putin intensifica le minacce contro le città ucraine, tra cui quella del 19 dicembre di colpire Kiev con un missile balistico a medio raggio 'Oreshnik'.
L'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) ha registrato vittime civili in Ucraina dal 24 febbraio 2022 al 30 novembre 2024, ha affermato Nakamitsu. Oltre 12.340 civili sono stati uccisi e più di 27.836 sono rimasti feriti durante questo lasso di tempo. L'Onu ha inoltre rilevato che nel 2024 le bombe aeree e le armi a lungo raggio hanno causato un numero di vittime maggiore rispetto all'anno precedente. Le bombe aeree hanno ucciso 341 civili e ne hanno feriti 1.803 tra il 1mo gennaio e il 30 novembre, secondo i dati della Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite in Ucraina. Le cifre rappresentano un aumento di tre volte dei decessi e di sei volte dei feriti rispetto al 2023.
Roma, 21 dic. (Adnkronos) - Coalizione di centrodestra sostanzialmente in salute e non logorata dai due anni di Governo al termine del 2024. Lo rileva il rapporto Human Index di fine anno realizzato per Adnkronos da Vis Factor, società leader a livello nazionale nel posizionamento strategico, in collaborazione con l’istituto sondaggistico Emg. In base alle alle intenzioni di voto fotografate tramite l’esclusivo Human Index -l’indicatore di convergenza, ideato da Vis Factor in collaborazione con Emg, che unisce e sintetizza i dati delle ricerche demoscopiche e quelli del web e social listening-Fratelli d’Italia si attesta al 28,7% delle preferenze (+1,2% rispetto al 2023), Forza Italia al 10% (+1,3% sul 2023), superando e staccando la Lega che chiude l’anno all’8,8% (-2,7% sul 2023).
Sul versante centrosinistra il Pd sale al 23,7% (+2,5% sul 2023), mentre perde fortemente consenso il Movimento 5 Stelle, al 10,5% (-5,4% sul 2023). Balzo importante per Sinistra italiana e Verdi che arrivano al 6,5% (+3,4% sul 2023). Non decollano invece i partiti dell’ex Terzo polo: Azione si ferma al 2,6% (-0,1% sul 2023) e Italia viva al 2,5% (+0,4% sul 2023).
Roma, 21 dic. (Adnkronos) - "In relazione all'intervista pubblicata oggi su 'Il Foglio' smentisco di aver rilasciato nomi all'articolista. 'Il Foglio' inventa il giornalismo generativo: rilasci un'intervista e loro aggiungono virgolettati e notizie inventate. Mai fatti nomi: sarà il partito e la coalizione a scegliere il candidato migliore a tempo debito. Rampelli è candidabile ma fare un nome è prematuro". Lo sottolinea il deputato di Fratelli d'Italia e presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, a proposito della candidatura a sindaco di Roma.
"Speriamo -aggiunge- che l'anno nuovo ci porti un giornalismo British che si attenga ai fatti".
Gaza, 21 dic. (Adnkronos) - Tre palestinesi sono stati uccisi e altri sono rimasti feriti in un attacco aereo israeliano a ovest della città di Gaza. Lo riferisce l'agenzia di stampa palestinese Wafa, precisando che aerei da guerra israeliani hanno preso di mira un gruppo di persone nel campo profughi di Shati e che i feriti sono stati trasferiti dai medici della Mezzaluna Rossa all'ospedale al-Shifa di Gaza City.
Roma, 21 dic. (Adnkronos) - Bianca Guaccero e Gabriele Corsi verso la conduzione di 'PrimaFestival', la striscia quotidiana che va in onda nell'access prime time di Rai1, nella settimana di Sanremo.
L'attrice, che stasera disputerà la finale di 'Ballando con le Stelle' da favorita, e il conduttore di 'Don't forget the lyrics - Stai sul pezzo' saranno - secondo quanto appreso dall'Adnkronos - alla guida del programma che porta il pubblico alla scoperta delle curiosità del Festival di Sanremo, tra servizi realizzati dietro le quinte del festival e on the road girando per la città dei fiori.
La striscia, giunta alla nona edizione, dovrebbe partire su Rai1 già dal weekend precedente al festival, venerdì 7 febbraio. Non è ancora chiaro se con Guaccero e Corsi ci sarà un terzo conduttore-inviato.
Islamabad, 21 dic. (Adnkronos/Afp) - Sedici soldati sono stati uccisi e cinque gravemente feriti in un attacco a una base militare pachistana vicino al confine con l'Afghanistan. Lo hanno riferito fonti di intelligence all'Afp. Nella notte tra ieri e oggi, “più di 30 combattenti hanno attaccato una postazione militare” nella regione di Makeen, nella provincia di Khyber-Pakhtunkhwa”, ha dichiarato un alto funzionario dell'intelligence.
L'attacco, durato due ore, è avvenuto in una zona montuosa a circa 40 chilometri dal confine afghano, secondo la fonte, che ha detto che i combattenti hanno bruciato documenti, apparecchiature di comunicazione e altri oggetti. I talebani pachistani hanno rivendicato l'attacco, affermando in un comunicato che si trattava di "una ritorsione per il martirio degli alti comandanti".
Palermo, 21 dic. (Adnkronos) - La Gazzetta del Sud avrà un nuovo direttore, Nino Rizzo Nervo. Subentrerà, dal 30 dicembre, ad Alessandro Notarstefano che lascia la direzione del quotidiano edito dalla Società Editrice Sud Spa dopo 12 anni e mezzo di intenso proficuo lavoro. Si tratta di un ritorno per Rizzo Nervo, che proprio alla Gazzetta del Sud ebbe il suo primo contratto, da praticante giornalista. Laureato in Scienze politiche all’Università di Messina, nella sua lunga carriera giornalistica è stato direttore della Testata Giornalistica Regionale della Rai, del Tg3, del TgLa7 e del quotidiano Europa. E’ stato membro del Consiglio di amministrazione della Rai per 7 anni, per poi diventare presidente della Scuola di Giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Nel biennio 2017/2018 ha ricoperto, durante il governo Gentiloni, il ruolo di Vice segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri con delega sull’area della comunicazione e dell’informazione. Il presidente e direttore editoriale della SES Spa (che edita anche il Giornale di Sicilia), Lino Morgante, ha espresso profonda gratitudine al direttore Notarstefano per il lavoro svolto e augurato buon lavoro a Nino Rizzo Nervo.