Se avesse in tasca il biglietto vincente della lotteria, lo straccerebbe. Se tirasse un rigore a porta vuota, spedirebbe la palla in tribuna. D’altronde, cosa ci si aspettava da uno che si è divorato 20 punti di vantaggio in poche settimane grazie a una campagna elettorale noiosa, vuota, crepuscolare, priva di un messaggio, di un sogno?

Ormai è ufficiale: Pierluigi Bersani gioca a perdere. Fa sembrare Walter Veltroni uno stratega illuminato. In una gara di perdenti con in palio un premio, Bersani è così perdente che arriverebbe secondo e rimarrebbe a mani vuote.

Con la delirante scelta di inseguire l’inciucio con Berlusconi su Franco Marini, nonostante l’inaspettato e immeritato colpo di fortuna rappresentato dalla convergenza del M5s sull’ex presidente del Pds Stefano Rodotà, Bersani è riuscito in un solo colpo a spaccare drammaticamente il corpo dei grandi elettori del Pd e a scavare un solco profondissimo tra la classe dirigente del partito e il suo elettorato infuriato. Un trionfo al contrario. Sulle cui ragioni si stanno sprecando le interpretazioni di analisti ben più preparati del sottoscritto.

Ma ora in questo momento drammatico per le sorti della sinistra italiana, consola poco vedere le facce stravolte e nervose di certa nomenclatura piddina ben riassunta nei nomi del nipote di Gianni Letta, della baciatrice di Renato Schifani e del marito di Nunzia De Girolamo.

Anche perché i responsabili di questo sfacelo, state tranquilli, troveranno un modo per farsi rieleggere a qualcosa. Mai più con i nostri voti, però.

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