Ho sentimenti contrastanti quando ascolto Gino Strada. Da una parte c’è una personale ammirazione per l’abnegazione, l’impegno costante, la capacità dimostrata da lui e dalla sua organizzazione in questi anni. Dall’altra mi irrita la faciloneria e la sicumera con cui affronta argomenti complessi dando soluzioni banali e omologate da un pensiero politicamente corretto.

Anche ieri, a Servizio Pubblico, non è riuscito a distogliermi da questo mio personale disorientamento frammentando sacrosante ragioni con sciocchezze conservatrici degne del peggior sindacalista della Funzione Pubblica. Il tema era la sanità su cui Strada ha sicure competenze cliniche ma, penso, poche competenze di governance.

Il pensiero, sviluppato senza distinzioni, è il solito: la sanità pubblica è in malora grazie ai privati che fanno profitto. Basterebbe revocare convenzioni e contratti ai privati per potere ritornare ad essere una delle sanità invidiate nel mondo. Alla obiezione sensata di un’altra ospite in studio sul fatto che esiste un privato non profit che regge le sorti, ad esempio, di moltissime patologie croniche di pazienti anziani, Strada ha risposto ironizzando sul San Raffaele e dimostrando, nel contempo di non conoscere la realtà italiana legata al non profit in crescita in questi anni. Ma più in generale è l’assoluzione assoluta della funzione pubblica che lascia basiti.

In questi anni abbiamo assistito a innumerevoli porcherie del settore sanitario privato. Ma, al contempo, altre ed altrettanto innumerevoli, sono state le porcherie del settore pubblico. Penso che ipotizzare una moralità superiore a uomini che lavorano in un settore piuttosto che in un altro sia un esercizio che ormai lascia il tempo che trova. Quanto meno in Italia. Paese dove i settori pubblici hanno dato ampia dimostrazione di essere gestiti in una logica privatistica rispetto a strutture private in cui lo spirito pubblico era (ed è) molto più presente.

Si procede per oggettivazione di un pensiero elementare: pubblico è buono e privato è cattivo. Speculare a questo pensiero il suo opposto: privato lavoratore e pubblico nullafacente.

Stritolato da 50 anni da questa ferrea e povera logica, un vero dibattito riformatore sui limiti di una sanità moderna e sul rilancio del concetto di cure appropriate rimane al palo o relegato a convegni di iper specialisti. Al popolo si lancia, a sprazzi, la demagogia e ieri, Gino Strada, non ne è stato esente.

Le mie certezze sul ruolo esclusivo di una sanità pubblica rispetto a quella privata si sono scardinate negli anni frequentando, per motivi professionali, l’una e l’altra. Le perplessità investono non lo status giuridico ma i controlli random sulle cure e sulla loro appropriatezza tanto da farmi pensare che se esiste un settore dove una agenzia indipendente ha un senso è proprio quello della sanità. Sottrarre il controllo a chi decide se fare una convenzione privata e, al tempo stesso, quale direttore nominare in un ospedale pubblico mi sembrerebbe, ben più dell’idea di Strada, una direzione per cercare di riformare radicalmente il nostro sistema sanitario.

 

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