Musica

James Blake, da Londra l’enfant prodige del nuovo soul-dubstep

"Ascoltavo jungle e drum'n'bass, poi ho scoperto la dubstep e me ne sono innamorato". Ventiquattro anni e già due album, collaborazioni da Bon Iver a Brian Eno. In uscita "Overgrown", nuova fatica del musicista che ha dato nuova popolarità all'underground londinese

di OndaRock per il Fatto

Londra è da sempre una fucina inestimabile di talenti e mode. Dal punk alla musica pop, dall’elettronica all’Rnb. Non c’è declinazione artistica che non abbia fatto i conti con la capitale londinese. E James Blake è l’ennesimo nome lanciato dall’underground britannico. Ventiquattro anni, nato e cresciuto nell’ultimo distretto a nord di Londra, Enfield, un paio di ep nel 2010, e due album, di cui uno in uscita venerdì 19 aprile, intitolato “Overgrown“, per l’etichetta Atlas. Blake ha studiato alla Goldsmith University di Londra. E la sua storia inizia proprio da un corso universitario di musica pop. Di giorno frequentava le lezioni, la sera scriveva e registrava amatorialmente le canzoni.

Tutto è cominciato, come spesso accade, con una cover, in questo caso di un brano della cantante canadese Feist, “Limit To Your Love”, singolo che raggiunge la 47esima posizione nelle classifiche d’Oltremanica. Dal 2010, nonostante la fama, si concede piuttosto di rado ai giornalisti. Di contro, in questi tre anni, ha visto aumentare spropositatamente la sua popolarità. Era stato notato da Gilles Peterson, storica voce della radio della Bbc, che decide di suonare alcuni suoi brani in heavy rotation. Tempo pochi mesi e la pubblicazione, nel febbraio 2011, dell’omonimo album di debutto, segna la nascita di una nuova stella. L’eclettico Blake costruisce nelle sue canzoni un incrocio tra la classica tradizione soul e quella soft-elettronica, aggiornando il tutto al tempo della dubstep, genere di moda nelle produzioni musicali contemporanee.

Musicalmente è proprio nel sud-est londinese, tra Elephant&Castle e Brixton, quartieri neri e meticci della capitale, che si sviluppa e attecchisce questo ibrido musicale, una dubstep rinnovata da una etichetta, la Hyperdub, e da produttori del calibro di Kode9, Burial o Martyn. Non un qualcosa di totalmente nuovo (c’avevano pensato, seppur con coordinate diverse, quasi vent’anni fa i Massive Attack, i Portishead e Tricky), ma Blake opera un restyling decisamente azzeccato. L’ovazione è planetaria, e l’album “James Blake” vale all’allora ventiduenne una nomination per i Mercury Prize nel 2011. Le etichette lo cercano, ma lui ha sempre tentato di rimanere fedele al pubblico più che all’industria musicale: “Il successo che ho avuto è venuto da chi mi ascolta, cosa della quale sarò sempre grato. Quel che ho fatto con quest’album l’ho realizzato per quelli che già mi conoscevano”. Avanti per la sua strada, nel mentre si rincorrono i soldout nei club e vanno a ruba i biglietti anche per i suoi djset.

In questi due anni, oltre a un ep e una collaborazione con musicisti del calibro di Bon Iver, Blake ha preparato i brani del suo secondo lavoro, “Overgrown”, album composto da 11 tracce, anticipato dal singolo “Retrograde“. Addirittura Brian Eno si è scomodato, ottenendo di produrre la nuova fatica. Album che per la verità non si discosta particolarmente dal precedente, anzi c’è proprio la sensazione che Blake abbia proprio voluto continuare nel solco di questo soul minimale e intimista, fatto di lievi vocalizzi, flebili scie di suono e pianoforte sugli scudi. Sottolinea il talentuoso musicista: “Frequentavo le serata jungle e drum’n’bass quando avevo 17 anni. Poi mi sono innamorato della dubstep”. E aggiunge: “C’era un gran fermento ed ho voluto iniziare a suonarlo anche io, ovviamente in maniera molto diversa da chi l’ha creato, mettendoci del mio”. C’è da giurare che il successo dell’opera prima verrà bissato.

Atteso per il prossimo autunno un tour europeo, i fan italiani dovranno aspettare almeno l’inverno.

(foto: lapresse.it)

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