Ci sono alcune precisazioni da fare prima di parlare degli Offlagadiscopax. Anzitutto, ci tengono a farlo sapere, non sono di Cavriago, il comune del reggiano con la statua di Lenin in piazza, tanto per intenderci, anche se forse sarebbe appartenenza più filologicamente accettabile e romantica, ma di Reggio Emilia. Secondo, sono figli dell’Emilia Rossa, e rivendicano fieramente quell’appartenenza. Terzo, non prendeteli per seriosi, che nella vita sono dei cazzoni.
Parola di Max Collini, professione agente immobiliare e cantante, o meglio narratore, del gruppo che domenica al Circolo Arci Calamita di Cavriago (Reggio Emilia) celebrano il loro decennale, tornando sul luogo del delitto: era il 22 aprile del 2003 quando si materializzarono dal nulla su quel palco. Da allora tre dischi, 400 concerti, migliaia di cd venduti . Roba che se qualcuno lo avesse prospettato, dieci anni fa, a Max, Enrico (Fontanelli) e Daniele (Carretti), lo avrebbero preso per matto, mandandolo a quel paese in dialetto reggiano. Quando lo raggiungiamo telefonicamente Collini sta guardando in diretta gli esiti del quarto spoglio per l’elezione del Presidente della Repubblica. “Credo che buona parte del Pd, dopo 45 giorni di pesci in faccia da Beppe Grillo, faccia fatica a votare Emma Bonino o Stefano Rodotà, che pur essendo perfetto sotto il profilo istituzionale è comunque ancorato alla Prima Repubblica. Anche Romano Prodi, certo… però Prodi, con tutte le sue debolezze e imperfezioni è un gigante della politica degli ultimi 20 anni. In più è reggiano…come faccio a non stare dalla sua parte?”.
Insomma, il narratore del passato (altro mito da sfatare) Max Collini le idee chiare sul presente ce le ha, eccome. Così come ha ben chiaro che dieci anni di attività sono un tempo buono per i bilanci.
Che effetto vi fa tornare sul palco del Calamita dopo tutto quello che c’è stato in mezzo?
“Beh, anzitutto c’è la voglia di festeggiare assieme agli amici che domenica saranno assieme a noi: da Alessandro Baronciani che presenterà il suo nuovo libro a fumetti a Giovanni Uda Gandolfi della Unhip Records a tanti altri. In realtà sarebbe bello se ne venisse fuori una specie di Festa dell’Unità, con tanto di sottoscrizione volontaria e bancarelle e il Sindaco di Cavriago che verrà a raccontare la vera storia della statua di Lenin in piazza. Certo che si fa un bilancio: la nostra è una storia che ha dell’incredibile, perchè parte dal basso e senza alcuna ambizione al di fuori di quella di coltivare un’esigenza espressiva autonoma dalla quale non ci siamo mai discostati. Ci concediamo questa piccolissima autocelebrazione. E soprattutto suoneremo i tre album (Socialismo tascabile, Bachelite e Gioco di società) dal primo all’ultimo brano, così a fine concerto nessuno ci potrà venire a dire “bello ragazzi, però quel pezzo mica l’avete fatto…”.
Oltretutto festa autoprodotta in ogni dettaglio. Siete molto più punk di quanto non vi dipingiate.
“La filosofia del do it yourself ci piace, senza dubbio. E poi cosa c’è di più punk, come dice sempre Enrico Fontanelli, di prendere un geometra di 36 anni e buttarlo su un palco davanti a un microfono? Ancora mi chiedo chi glie lo abbia fatto fare di andare ad impelagarsi con Collini. Gli Offlaga sono fin dagli esordi un collettivo situazionista, su questo non ci piove”.
Collettivo situazionista, neosensibilista e che non crede nella democrazia nei sentimenti…
“Il Manifesto Neosensibilista nacque in un contesto di puro delirio, in cui c’eravamo messi in testa che avremmo dovuto ridefinire l’idea di sensibilità, e ovviamente il prefisso neo ci serviva per rompere con tutto ciò che era stato. Credo che mi vergognerei molto se dovesse essere pubblicato oggi…Quanto alla contrarietà alla democrazia nei sentimenti, è una riflessione che nasce in contrasto all’abuso della parola democrazia in ogni ambito. Perchè ci sono luoghi in cui non funziona e non c’è scampo. Cosa dovrebbe essere la democrazia nei sentimenti? Siamo in due: il 50 per cento più uno fa già cento. E’ una formula impossibile. Il sentimento ha più a che fare con la dittatura”.
Emerge spesso nei vostri brani il tema del passato, come se si guardasse con nostalgia ai bei tempi in cui. Cosa manca all’oggi? E’ l’annosa questione della morte delle ideologie?
“Credo che anche questa interpretazione sia un mito da sfatare. E’ vero, parliamo del passato ma in realtà lo viviamo come un approccio al contemporaneo, che dovrebbe, nelle nostre intenzioni, emergere proprio dal raffronto tra ieri e oggi. La mia è una scrittura immediata, di pancia, priva di tecnica: quello che mi interessa è mettere in piedi delle narrazioni che attingono dal mio personale vissuto. Il desiderio di parlare del presente viene affrontato inconsciamente in altro modo: esso affiora per contrasto a fianco del passato, serve a far emergere le falle del presente”.
Senza dubbio però il passato è pure consolatorio, vista la desolazione del presente, soprattutto per quel che riguarda l’orizzonte della politica, della società.
“Sì, quello che vedo è una società che implode nelle sue contraddizioni. Credo di essere un osservatore curioso del mondo: la confusione, la crisi portano con sé opportunità, certo, e magari siamo all’alba di un nuovo mondo, ma ci sono pure rischi. Se dovessi pensare ad una differenza col “prima” direi che c’era un orizzonte di sentimento collettivo più saldo, migliore. Oggi non sopporto più, a costo di sembrare retorico, che l’unico argomento dirimente sia il denaro, l’economia. Siamo nel parossismo quando la pensionata a 500 euro al mese o la casalinga parlano di spread e notizie di borsa, è un segnale della malattia del tempo. E la ricetta non è quella della decrescita felice. Anche se a volte mi metto su un piedistallo ideologico la mia vera natura è quella di un pragmatico figlio del Pci emiliano, di un sistema che ha prodotto benessere e solidità, anche se oggi appaiono le crepe, e che ha lasciato un’importante eredità di solidità e benessere per le generazioni future”.
E la musica oggi? Qual’è lo stato dell’arte?
“E’ abbastanza chiaro che l’industria discografica e culturale siano allo sfascio. Abbiamo a che fare con una discografia miope, che si accontenta di pescare dal mondo dei talent show senza investire su uno scouting musicale serio. In un mondo normale un personaggio come Dente, tanto per fare un esempio, sarebbe il pupillo di qualche grossa casa discografica. Si lasciano sfuggire le potenzialità immense di tanti artisti che non trovano il sufficiente spazio. Paradossalmente la musica indipendente oggi offre uno spazio di maggior tutela rispetto all’essere sotto contratto con una major”.
Per gli Offlaga comunque il bilancio è più che positivo…
“Direi proprio di sì… chi lo avrebbe mai detto che avremmo suonato aprendo i concerti dei Kraftwerk e degli Aphex Twin, o che la nostra elettronica minimale si sarebbe mischiata a un trio d’archi parigino (i Ginko Narayana) creando un corto circuito meraviglioso, o che avremmo suonato a San Paolo del Brasile? Fosse finita dopo tre mesi e sei concerti, beh, saremmo stati felici uguale”.