Il professore è partito un giorno fa per il Malì per il suo incarico di inviato Onu nella crisi del Sahel. Sarà sostenuto in aula nella quarta votazione da tutto il partito compatto, compresi i renziani. Anche Sel può convergere su di lui. L'ex premier torna a salvare il centrosinistra in crisi d'identità politica
Romano Prodi presidente della Repubblica ricompatta il Pd. Il due volte presidente del consiglio del centrosinistra è il coniglio uscito dal cilindro di Pier Luigi Bersani dopo una giornata di epocale spaccatura tra il Partito Democratico e la sua base.
Il nome dell’ex premier è stato approvato all’unanimità dall’assemblea dei grandi elettori del centrosinistra, con tanto di applausi e standing ovation come nei migliori teatri. Insomma nulla a che vedere con l’incontro infuocato al teatro Capranica di Roma che nemmeno 48 ore fa aveva prodotto il nome della discordia: Franco Marini.
Prodi si trova in questo momento in Mali, a seguito del suo nuovo incarico conferitogli da più di un anno dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, di inviato speciale dell’Organizzazione per la crisi nel Sahel. Il professore sarà sostenuto dalla quarta votazione, cioè dal pomeriggio, anche se il Pd fin da ieri sera ha fatto richiesta di uno slittamento della quarta chiamata a sabato, segno possibile dell’attesa del ritorno dell’ex premier ulivista dal Mali. Raggiunto telefonicamente dal grande elettore Pd, Claudio Burlando, ha detto: “Arrivo appena posso”.
Prodi è un nome che potrebbe piacere a Sinistra e Libertà, ma anche al Movimento Cinque Stelle che tuttavia da parte sua ha assicurato che continuerà a sostenere Stefano Rodotà, anche se la portavoce Lombardi ha espresso la sua soddisfazione sul professore (“è una gran cosa”). Quello che pare certo, finora, è che il Pd non ha intenzione di appoggiare il giurista nonostante le sue molte legislature da parlamentare con partiti di sinistra e all’interno dello stesso Pds. Mentre Scelta Civica di Monti lancia un’altra “bolognese” come Anna Maria Cancellieri e il Pdl sembra accodarsi ai centristi.
Una mossa, quella di Bersani, che sa più di amarcord che di vero e proprio dietrofront. Usando Prodi, il Pd si gioca l’ultima carta possibile di unità al suo interno e allo stesso tempo di simbolica nostalgia di un passato in cui Berlusconi veniva sconfitto.
Prodi e l’Ulivo batterono il Pdl di B. sia nel 1996 che nel 2006. E se la seconda vittoria fu funestata dall’ingovernabilità dovuta ad una maggioranza parlamentare risicata, ecco che la memoria torna al celebre patto D’Alema-Bertinotti-Marini per far saltare il primo governo ulivista nel 1998. Marini, appunto. Inviso a un terzo, e anche più del partitone, eppure proveniente da quell’infinito arcipelago democristiano anni settanta-ottanta da cui proviene anche l’economista di origine reggiana. Area morotea, corrente Beniamino Andreatta il primo; area sindacale Cisl alla Carlo Donat Cattin e Giulio Pastore il secondo: tutti e due, sempre in buoni rapporti con l’allora factotum Dc Giulio Andreotti che volle il primo alla presidenza dell’Iri con l’ovvio beneplacito dell’amico Ciriaco De Mita, e il secondo al ministero del Lavoro nell’ultimo suo governo tra il 1991-92.
Romano Prodi ha comunque quella caratura internazionale che molti parlamentari anche non Pd hanno chiesto fin dall’inizio di fronte alla candidatura Marini. Il professore è stato presidente della commissione europea dal 1999 al 2004, periodo durante il quale è entrata in vigore la moneta unica dell’euro.