1975, si lavora al numero zero di Repubblica

Una vita vissuta “a occhi aperti” quella di Miriam Mafai. A un anno dalla sua morte, avvenuta il 9 aprile 2012, i suoi figli, Luciano e Sara , hanno fondato un’associazione a lei dedicata, che viene presentata il 19 aprile all’Auditorium del Maxxi di Roma.

“Con mio fratello desideravamo organizzare un incontro amichevole e affettuoso, non troppo commemorativo – dice Sara, figlia, come Luciano, di Umberto Scalia, sposato nel 1948 dalla Mafai – perché il tono celebrativo non sarebbe piaciuto a nostra madre”. L’incontro si aprirà quindi in chiave familiare con la proiezione di un filmato di Raffaella Spaccarelli andato in onda nel 1996 su Raitre per un ciclo d’interviste a figli di persone note che parlavano del loro rapporto con il padre o, in questo caso, con la madre. Seguiranno, dopo un breve saluto di Giovanna Melandri, presidente del Maxxi, interventi e testimonianze di amiche e colleghe di Miriam Mafai: Simonetta Fiori de La Repubblica, Maria Teresa Meli de Il Corriere della Sera, Tiziana Bartolini, direttrice di ‘Noi donne, mensile diretto dalla Mafai nei primi anni ’60, Valeria Manieri dell’associazione ‘Pari o Dispare‘ e la direttrice dell’Associazione stampa romana, Beatrice Curci.

1953, Miriam a Pescara (Archivio di famiglia)

“Abbiamo voluto declinare al femminile tutta la discussione – spiegano ancora i figli – perché l’impegno di nostra madre sul terreno dei diritti civili delle donne, è stato un po’ trascurato in questo ultimo anno in cui la sua figura è stata prevalentemente ricordata nella dimensione giornalistica e politica”.

Nelle pagine che presentano l’autobiografia “Una vita, quasi due”, pubblicata lo scorso ottobre da Rizzoli, Sara spiega che inizialmente la madre aveva progettato di organizzare il libro attorno ad alcune parole-chiave, una sorta di “dizionario esistenziale”, un’idea che nasceva dalla sua ritrosia a scrivere una vera e propria autobiografia: “Credo le sembrasse una inutile esibizione di sé, un cedimento all’unico vizio per il quale non ha mai avuto alcuna indulgenza, la vanità”. Il progetto fu bocciato dall’editore. Tuttavia, un piccolo vocabolario compare tra le ultime pagine del libro.

Quali parole e quali temi centrati sul femminile sono stati più importanti per lei negli ultimi anni allora? “La colpiva la condizione delle precarie. Percepiva il precariato delle donne come una forma di arretramento rispetto alle conquiste che si erano fatte nel passato. Un altro punto cruciale, maturato a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, riguarda le tematiche legate a libertà e disponibilità del corpo femminile. Un tema a cui si è dedicata in alcuni scritti che ora vorremmo recuperare”.

Tra i progetti dell’associazione (con sede a Roma in via Aventina 31), la digitalizzazione, la catalogazione e l’indicizzazione di tutta la produzione di Miriam Mafai: sul sito sono già presenti gli articoli pubblicati su “Vie Nuove” dal 1957 al 1960. “Verrà fatta anche una cernita degli scritti inediti o parzialmente editi: prefazioni, conferenze, racconti di personaggi importanti che ha conosciuto”.

Obiettivo: mettere a disposizione del pubblico un archivio prezioso. “Siamo in contatto con diversi studenti universitari e una tesi, dedicata all’esperienza francese di mia madre, è già stata realizzata da una studentessa dell’Università di Bologna”.

Tra le iniziative, anche l’istituzione di due premi: “Vorremmo crearne uno dedicato ai talenti femminili espressi in qualsiasi ambito; l’altro, in collaborazione con l’Associazione stampa romana e l’Ordine dei giornalisti, è invece rivolto alle giovani giornaliste. Mia madre ha sempre avuto una forma di ‘maternage‘ nei confronti delle giovani colleghe, che chiamava ‘le sue ragazze’”.

Dall'archivio di famiglia

E proprio in omaggio alla memoria di Miriam Mafai l’Associazione ripubblica un suo saggio sul giornalismo. Pagine in cui Miriam scrive che è necessario vivere “a occhi aperti”.

Dal suo impegno giornalistico (Noi donne, Paese sera, l’Unità, Repubblica) a quello politico (è stata funzionario del Pci), Miriam è stata certamente una donna di sinistra, ma che non ha mai risparmiato critiche alla sua parte politica. E donna fuori dagli schemi anche nella vita privata: quando nel 1962 conosce Giancarlo Pajetta, fra i più importanti esponenti del Pci, lui è già separato e lei ha alle spalle un matrimonio e due figli (la foto in apertura dei due insieme fu scattata da Fabrizio Ferri, ndr). Un’unione, quella tra Mafai e Pajetta, che suscita scandalo anche nel partito: “Dalle donne comuniste – racconterà poi la giornalista – si pretendeva un grande rigore morale”. Ma quel sodalizio durerà 30 anni e lei lo ricorderà sempre come “il suo unico grande amore”.

Per una legislatura è senatrice del Partito democratico della sinistra (Pds), che lascia un anno dopo: “Una cosa è dare le noccioline alle scimmie – spiegherà – Una cosa trovarti dentro la gabbia delle scimmie. Tutto mi appariva molto lento e molto faticoso, mi sembrava che non ne valesse la pena e infatti alle elezioni successive mi sono tirata da parte”.

“Non solo non si è mai nascosta – ricorda la figlia Sara – perché è stata una donna che si è sempre esposta molto, ma non ha nemmeno mai nascosto a se stessa l’oggettività delle cose, anche quando questa poteva ferirla molto. Per esempio, aveva molto creduto nel Partito democratico, che è una creatura recente. So però che lo aveva immaginato diverso: un partito con una fortissima vocazione riformista che potesse raccogliere intorno a sé una larga componente della società civile. In realtà Miriam tollerava molto male una serie di scontri interni al Pd, che l’hanno amareggiata, al di là ovviamente delle sorti personali, perché poi lei non era assolutamente impegnata in prima persona, vista anche la sua età. Aveva immaginato che questa nuova formazione politica potesse dare un contributo molto diverso e molto più ricco all’evoluzione della società italiana”. 

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