Azzardare previsioni sulla prossima follia del Partito Democratico è esercizio difficile, anzi sarebbe più giusto dire è un esercizio impossibile. Come uno stuolo di cetacei impazziti, i dirigenti di quello che una volta era il Pd si sono spiaggiati disastrosamente, restando adesso ad agonizzare sulla spiaggia sotto gli occhi compiaciuti degli avversari politici, primo fra tutti Silvio Berlusconi, al quale non pare vero che, nel giro di pochi mesi, senza che in sostanza abbia fatto alcuno sforzo significativo, i suoi avversari siano riusciti, facendo tutto da soli, a sperperare il vantaggio elettorale e, adesso, a far implodere in un cupio dissolvi il loro stesso partito.
La radice del male però sta tutta dentro il Partito Democratico, non credo sia imputabile solo alle singole ambizioni personali dei vari shogun, da D’Alema alla Finocchiaro, passando per Franceschini, Letta, Fioroni, tra vecchi e giovani Turchi. La radice sta proprio nell’idea del Partito Democratico. Nell’innaturale unione, lontanissima da quella che fu l’idea del “compromesso storico“, tra le nomenclature dell’ex Pci e quelle della defunta Dc. Non un’unione nella società, ma un mettere insieme interessi di bande che cercavano di ricostruirsi una struttura di potere e che oggi si dilaniano.
Lo spettacolo incomprensibile, se letto attraverso le categoria della politica (credo che sarebbe più giusto in questi casi usare quelle della psicoanalisi) che il Pd ha dato di se nelle ultime ore non racconta una crisi politica, ma racconta l’esistenza di almeno due o tre partiti che se le stanno dando di santa ragione, bruciando persone rispettabili come Romano Prodi e vedremo ancora chi altro.
Di buon mattino tutti abbiamo letto con sgomento i resoconti della note di passione del Pd una notte che alla fine ha partorito un’altra idea balzana che indica lo stato confusionale nel quale versa quello che un tempo fu il Partito Democratico: riproporre Giorgio Napolitano, un Presidente che ha fatto più danno della grandine e che, saggiamente, ha già detto di non essere disposto a nessuna condizione ad essere ricandidato. Ma tant’è. Una parte del Pd lo voterà, probabilmente in accordo con la destra finanziaria e liberista di Mario Monti, ma soprattutto con quella eversiva di Berlusconi e Casa Pound, che ieri celebravano la bocciatura di Prodi con il trito e triste rito dell’ingozzatura di mortadella. Con questi si alleeranno, raccontandoci pure di averlo fatto per salvare l’Italia. Grazie signori, astenetevi. Non ci va di essere salvati!
Un’altra parte del Pd, insieme a Sel, farà l’unica cosa possibile per salvare quel che resta (e ahimè è davvero poco) dell’onore della sinistra italiana e salvare anche il Paese dal disastro di finire ancora una volta sotto il tallone di Berlusconi. Voterà un galantuomo come Stefano Rodotà, proposto dal M5S, che a questo punto potrebbe essere il nuovo Capo dello Stato, in ossequio anche ad una diffusa volontà popolare.
La divisione però è auspicabile, non si fermi qui. E’ auspicabile che chi vuole costituire, insieme a Monti e Berlusconi una compagine di destra, lo faccia, lasciando che altri possano finalmente lavorare, partendo purtroppo dalle macerie che questi sedicenti dirigenti hanno lasciato sul campo, per ricostruire qualcosa di cui questo Paese ha bisogno: una forza socialista, democratica e riformista che dia voce a una parte di Paese da troppo tempo priva di rappresentanza.
Dividetevi per favore. Il divorzio a volte non è un male. Lo è la convivenza forzata che assai spesso finisce in tragedia.
Una considerazione finale proprio sulla divisione. La democrazia è divisione! E’ confronto tra opinioni e progetti alternativi. La divisione che costituisce maggioranze e minoranze, che distingue tra chi governa e chi fa opposizione. Ci vogliono imporre invece l’idea che la salvezza passa per l’unità di opposti. Non è così. L’unanimismo di fronte ad un pensiero unico è l’essenza della dittatura, non è una condizione di dialettica democratica. Nella fattispecie italiana è la strada che garantisce l”immobilismo: gli opposti che si elidono e che fanno sì che nessuna decisione possa essere assunta. Ci guadagnano solo gli interessi privati di singoli o di gruppi di potere. A perderci come sempre siamo tutti noi.