Denise aveva 22 anni, il suo ‘ex’ l’ha freddata con un solo proiettile, alla nuca. Poi si è ucciso. Il corpo di Michela invece è stato crivellato di colpi dalla pistola d’ordinanza dell’ex marito, una guardia giurata che la picchiava abitualmente. Dopo, anche lui si è sparato. Lucia invece non è morta, è ‘solo’ stata sfigurata con l’acido: un suo ex fidanzato è in stato di fermo.

Un'immagine del flash mob "Rompiamo silenzio, un fiore per Michela e le altre" (foto di Manuela Campitelli)

È il bilancio di tre giorni d’aprile, in Italia, e pare un bollettino di guerra. L’aggressione con l’acido, un atto d’inimmaginabile viltà, è un tipo di violenza che siamo abituati a etichettare come “straniero”, perché  l’eco di atti del genere arriva da noi da paesi lontani, spesso a maggioranza musulmana. La storia di Lucia, ricoverata in condizioni gravissime a Parma, ci dovrebbe togliere ogni tipo di certezza. Sarà bene che guardiamo a queste situazioni come a cose nostre, che accadono qui. Sarà meglio anche che smettiamo di esprimerci con parole come ‘delitto passionale’ o ‘raptus’ che in qualche modo sottintendono una giustificazione, perché presuppongono un amore folle e definitivo. E quando c’è l’amore, allora va bene tutto. Purtroppo con l’amore questo non c’entra nulla. Ripeterlo non fa mai male.

In questa rubrica abbiamo parlato tante volte di violenza sulle donne. L’ultima il 25 novembre scorso, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, quando abbiamo pubblicato i dati (allora provvisori) dell’anno raccolti dalla Casa delle donne di Bologna: nel 2012 sono state uccise 124 donne, nella maggioranza dei casi da ex fidanzati o ex mariti. Ma forse il problema è che non se ne parla abbastanza, se questa settimana i casi di Lucia, Michela e Denise sono finiti in secondo piano, in un Paese anestetizzato dalle inutili manfrine di una classe politica d’inetti.

E forse anestetizzato anche dalla frequenza con cui le agenzie battono le notizie di omicidi e violenze contro le donne. Succede così spesso che diventano “normali”, quasi fossero incidenti stradali. Di cui infatti si dà conto sulla cronaca locale dei quotidiani o in breve sulle pagine nazionali, ma solo se sono in qualche modo ‘sensazionali’. Il fatto che le aggressioni alle donne siano diventate abituali non significa però che siano normali. Significa, al contrario, che sono un’emergenza quotidiana. E allora la reazione deve essere, al contrario, parlarne di più. Parlarne implica stimolare la sensibilità dell’opinione pubblica, la consapevolezza delle donne che tendono a non far caso o a perdonare i primi segni di violenza, perché hanno paura o perché pensano addirittura di meritarsi una punizione.

Parlarne può voler dire produrre una sanzione sociale reale, obbligare la politica a tornare a occuparsi dei problemi delle persone (non sarà mai troppo presto) e ad affrontarli, magari con una legge specifica sul femminicidio. Soprattutto per non far sentire sole le donne, ma per aiutarle a sentirsi più forti per potersi tutelare. E quindi sono benvenute le manifestazioni (come quella, molto partecipata, di questa mattina al pontile di Ostia, ‘Rompiamo il silenzio un fiore per Michela e le altre’) che invitano a rompere il silenzio sul femminicidio. Facciamo più rumore possibile: la violenza sulle donne non è un incidente.

da Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2013

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