“Le nostre congratulazioni alla Commissione per la promozione della virtù perché c’insegna cos’è la virtù e vuole assicurare che tutti i sauditi siano tra le persone destinate al paradiso”.
Raif Badawi, 25 anni, attivista online dell’Arabia Saudita, è un uomo dotato di grande ironia. Troppa, per le seriose autorità dell’Arabia Saudita, che hanno iniziato a perseguitarlo dal 2008 e l’hanno arrestato il 17 giugno 2012 accusandolo di aver “creato un sito che minaccia la sicurezza nazionale”.
Di che si tratta? Del portale dei “Liberali dell’Arabia Saudita”, uno spazio che, nelle intenzioni di Badawi, avrebbe dovuto diventare un luogo virtuale dove discutere di questioni sociali e politiche.
I post di Badawi sono finiti presto nel mirino delle autorità saudite, che gli hanno rimproverato di aver messo in ridicolo alcune figure religiose dell’Islam, di aver esaltato la festa di San Valentino (la cui celebrazione è vietata nel paese) e di non aver rimosso commenti offensivi e articoli, uno dei quali insinuava che l’Università al-Imam Mohamed ibn Saud fosse diventata “un covo di terroristi”. Infine, la battuta sulla zelante polizia religiosa riportata all’inizio di questo post, che gli è valsa l’accusa di apostasia, “reato” che in Arabia Saudita è punito con la decapitazione.
La stessa accusa mossa ad altri blogger e utenti di Twitter e di altri social network, come Hamza Kashgari, che nel febbraio 2012 è stato respinto in Arabia Saudita dalle autorità della Malesia, paese nel quale aveva cercato riparo dopo aver ricevuto numerose minacce di morte per aver “offeso” Maometto via Twitter.
Tornando a Badawi, all’inizio dell’anno un tribunale di Gedda ha dato provvisoriamente ragione al suo avvocato, che sosteneva non vi fossero prove di apostasia nell’attività editoriale online del suo assistito.
A metà aprile, però, il procedimento giudiziario in corte d’appello pare essere entrato nel vivo. Amnesty International ha promosso un appello mondiale per chiedere la sua immediata scarcerazione.