Il turpiloquio, le esagerazioni e le invettive che caratterizzano il linguaggio di Grillo non vanno mai presi alla lettera – lo dico da tempo – perché sono tecniche che la satira usa fin dall’epoca di Aristofane, e Grillo è anzitutto un autore satirico che da questa tradizione viene. Purtroppo però, quando cerco di spiegare questa cosa ai giornalisti, ai lettori, a chiunque mi chieda un parere sulla ‘sparata’ grillesca di turno, finisco per essere guardata con sospetto, come se io volessi nobilitare Grillo inserendolo in una tradizione antica, come se negassi il potenziale di aggressività o addirittura di ‘fascismo’ – come dicono alcuni – che la sparata contiene. ‘Ma non ti sembra come Bossi e i leghisti? Non capisci quanto è pericoloso aizzare le folle come fa lui? Non vedi che insulta tutti?’ mi chiedono preoccupati.
Primo problema (dei media). Spesso chi si preoccupa in questo modo (giornalisti inclusi) non ha mai sentito per intero un discorso di Grillo dal vivo, né si è mai preso la briga di guardarlo con attenzione su YouTube, ma si è limitato a prendere in considerazione ciò che altri (media inclusi) ne hanno estrapolato: frammenti, frasi, titoli. Sto forse dicendo anch’io, come Grillo, che i media distorcono, travisano, mentono? No, sto solo dicendo, per verifica diretta e ripetuta, che una parolaccia, un insulto e un’invettiva in bocca a Grillo non hanno mai lo stesso potenziale di aggressività che possono avere in bocca a un aizzapopolo o un politico qualunque, per una semplicissima ragione: una parolaccia e un’invettiva dette da Grillo fanno ridere, dette dall’aizzapopolo e dal politico no; dette da Grillo sono sempre accompagnate da ironia e autoironia, dette dall’aizzapopolo no. E dove ci sono ironia e risate, non c’è violenza. Osserva, per credere, la mitezza delle famiglie, dei giovani e degli anziani che affollano i comizi di Grillo. Osserva gli abbracci e i baci che spesso le coppie, i parenti, gli amici si scambiano dopo la risata.
Secondo problema (di Grillo). È vero che Grillo viene dalla satira, ma è pure vero che da anni è passato alla politica, traslocando le tecniche della satira nel discorso politico. In politica, però, le parolacce e le invettive abbassano il livello del discorso, lo stracciano, ma soprattutto distolgono l’attenzione dai contenuti per concentrarla sul modo in cui sono detti. Detto in altri termini: se uno parla di problemi importanti con gestacci, turpiloquio, battute e imitazioni, finisce che molti dimenticano di cosa parla e pensano solo ai gestacci, alle battute eccetera. Detto ancora più semplicemente, come ho già scritto: se Grillo indica la luna e i media guardano il dito, la colpa è anche del dito. L’hanno capito persino Bossi e i leghisti, che hanno sempre confinato le parolacce e i gestacci alle piazze, ricomponendosi se intervistati dai giornalisti o ospitati nei salotti televisivi. Ma Grillo, lo sappiamo, nei talk show non ci va, e ai giornalisti italiani si è sempre concesso poco e niente. Il che vuol dire che sui media le sue parolacce e invettive vanno nella stessa forma in cui le dice in piazza, con un doppio svantaggio: non destinate ai media, ci arrivano senza i filtri che Grillo ci metterebbe se parlasse direttamente ai giornalisti; ritagliate dal contesto originario, non fanno più ridere né sorridere, ma ricordano davvero l’aggressività di un aizzapopolo qualunque e come tali diventano inquietanti.
Soluzione (forse). Ieri abbiamo finalmente assistito a una lunga conferenza stampa in cui Grillo ha cercato fra l’altro di sciogliere alcune ambiguità del suo linguaggio. Si è reso conto infatti che la sua sparata del giorno prima sulla rielezione del Presidente Napolitano, definita un “golpe”, un “colpo di Stato, che avviene furbescamente con l’utilizzo di meccanismi istituzionali”, insieme all’invito a scendere “in piazza a milioni, a dissotterrare l’ascia di guerra” mentre lui arrivava a Roma, potevano essere strumentalizzati da alcuni malintenzionati e, data la tensione del momento, potevano essere intesi come un’autorizzazione a dare sfogo a frustrazioni e rabbia con gesti inconsulti, trasformando una piazza di solito mite in una piazza violenta.
Si è reso conto che non può continuare prima a sparare e poi a rettificare sul blog – come ha fatto anche con il colpo di Stato – perché un “capo politico”, come lui stesso si definisce, ha una grande responsabilità e con le parole, come con le azioni, deve andarci cauto pensando in anticipo a tutte le possibili conseguenze.
«Avete visto? – ha detto ieri Grillo ai giornalisti (cito a memoria) – stavolta non ho detto neanche una parolaccia. Mi dicono che devo calmarmi e io mi calmo, prometto che mi calmo». Sembra insomma che finalmente Grillo abbia capito: deve trovare un equilibrio, deve stare più attento alle parole che usa, perché la situazione è sempre più pesante e se il Movimento 5 Stelle, dato il disastro dei partiti tradizionali, è destinato a crescere, anche le sue responsabilità di capo politico cresceranno. Certo, forse questo implicherà rinunciare a qualche battuta e diminuire la vis comica, ma è un prezzo che a questo punto Grillo deve pagare, perché il gioco si è fatto duro. Ce la farà?