Nicolás Maduro, neo presidente del Venezuela, all’atto del suo insediamento ha auspicato, con certa solennità, che vuole un paese “libero, felice e socialista”.
«La felicità materiale riposa sempre sulle cifre» diceva Honoré de Balzac. Se non deve essere cosa facile aspirare alla felicità collettiva, è cosa sicuramente ardua individuare parametri precisi che portino ad esprimere una valutazione compiuta sulla felicità di un popolo.
Prendiamo come riferimento un approfondimento del quotidiano spagnolo El País. In un articolo dello scorso 16 aprile, Luis Prados, corrispondente da Caracas, scrive che la risicata vittoria di Maduro ha frenato il progetto chavista, ossia l’impoverimento progressivo, spirituale e materiale, dei cittadini e l’istituzionalizzazione de “la mentira”, la bugia assurta a sistema. Tutto ammantato dalla liturgia bolivariana, uno strumento della retorica politica che l’ex delfino di Chávez, per limiti intellettuali, sembra avere difficoltà a maneggiare.
Parole che pesano come un macigno.
Eppure non può negarsi che molti progressisti occidentali siano ammaliati dalla retorica bolivariana, dal socialismo chavista che avrebbe dato rappresentanza politica ai poveri. L’assistenzialismo, in verità, non ha sconfitto la povertà.
Ha solo impoverito di più la borghesia venezuelana. Con riforme del lavoro che, rendendo eccessivamente onerosi i licenziamenti, hanno frenato le assunzioni di lavoratori. Con leggi sugli affitti che, favorendo a dismisura gli inquilini, hanno paralizzato il mercato delle locazioni. Con penuria di alimenti – manca persino la farina di mais – e di farmaci, con ripetuti black out elettrici nelle città metropolitane, con un tasso d’inflazione che viaggia intorno al 30%, tra i più alti dell’America Latina.
Con schizofrenici tassi di cambio con il dollaro: servono sei bolivar per acquistare un biglietto verde al mercato ufficiale, ventitré bolivar sul mercato nero. “El dólar paralelo” usano dire i venezuelani, niente altro che un sistema di regole parallele.
La borghesia è spesso sotto il giogo delle squadre di chavistas che a bordo di rumorose moto riversano nelle strade violenze gratuite e terrore. Un paese rivoluzionario che ha saputo comunque creare una ristretta casta di milionari chiamata a gestire le immense risorse naturali del paese.
Non c’è regime che non conosca nomenclatura. E non c’è regime che non cada nella tentazione di comprimere libertà e diritti umani.
Amnesty International ha fatto sentire il suo peso nella recente campagna elettorale. Lo scorso 4 aprile, con una lettera aperta ai candidati alla presidenza della Repubblica Bolivariana, l’organizzazione ha lanciato un appello incisivo: il Venezuela non deve svincolarsi dagli accordi internazionali uscendo dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani, come ha annunciato Chávez con una missiva del 6 settembre.
Amnesty International ha affermato due priorità ulteriori: il rispetto delle libertà di associazione e di riunione e l’osservanza del principio di separazione tra i poteri dello Stato, precisando che non può usarsi il sistema giudiziario per mettere a tacere coloro che esprimono opinioni poco gradite al potere.
Con il caso dell’ex giudice María Lourdes Afiuni, accusata di corruzione per aver concesso la libertà provvisoria a un oppositore di Chávez, che – per l’organizzazione di tutela dei diritti umani – è vittima di un processo arbitrario e va immediatamente scarcerata.
Difficile misurare la felicità collettiva a cui aspira Maduro, ex delfino del Comandante.
Consoliamoci con la frase con cui Epicuro apriva la lettera a Meneceo: “mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la ricerca della felicità’’.