Politica

Pd, Renzi aspetta la leadership dalle mani di D’Alema. Letta, governo più lontano

Il sindaco di Firenze sarà incoronato da quelli che hanno silurato nell'urna il suo tentativo di far eleggere Prodi al Quirinale: un asse tra vecchia guardia dalemiana e popolare coi giovani turchi. La sinistra di Fabrizio Barca ha pochi sponsor. Per Palazzo Chigi diminuiscono le possibilità di Enrico Letta, considerato "corresponsabile" del disastro di Bersani. In molti gli preferirebbero "l'esterna" Cancellieri.

A Matteo Renzi la premiership, meglio se passando prima per la leadership del Pd. A Massimo D’Alema, e i pochi maggiorenti non scottati dai sei scrutini per il Quirinale, il ruolo di king maker del nuovo astro fiorentino e magari un posto al sole in collina per coronare la carriera. Questo è quanto si profila sulle macerie del Pd; sempre ammesso che il partito di largo del Nazareno riesca a superare indenne la formazione del governo basata su un accordo con il Pdl, strada avversata da non pochi (a partire da Pippo Civati).

Il sindaco di Firenze sarà incoronato precisamente da quelli, i 101 franchi tiratori, che hanno silurato nell’urna il suo tentativo di imporsi sul declino di Pierluigi Bersani per far eleggere Romano Prodi al Quirinale: un asse tra vecchia guardia dalemiana e popolare coi giovani turchi e non solo. Il resto, la sinistra di Fabrizio Barca o altrimenti intesa, o si aggrega al carro del sindaco e dei suoi numi tutelari oppure può anche far fagotto; come si è già capito non dispiacerebbe ai reniziani più oltranzisti. Una manovra che passerà per il prossimo congresso del Pd, in calendario per l’autunno, e le successive elezioni politiche. Elezioni che, su esplicita richiesta di Napolitano, i partiti si sarebbero impegnati a svolgere il prossimo anno con una nuova legge, in modo da concedere al presidente di accomiatarsi come desidera, ma che potrebbero facilmente slittare al 2015, considerato che nel giugno del prossimo anno si votano già amministrative e europee – un genere di consultazione capace di rinvigorire istinti di separazione tra socialisti e popolari nel Pd –, all’indomani delle quali l’Italia sarà per 6 mesi alla guida dell’Unione.

DA “ROTTAMATORE” A “RIFONDATORE” – Con una lunga intervista a Repubblica il sindaco “rottamatore” si propone oggi per “rifondare” un Pd versione 2.0, esortando a non “inseguire” Grillo (“Dice delle castronerie incredibili”), per giunta in alternanza col Cavaliere, ma piuttosto a intervenire di petto sul finanziamento pubblico della politica e a ripartire dall’emergenza “lavoro”. Per Renzi il Pd dovrebbe mettere “la faccia” sin dal prossimo governo, che a suo avviso non deve durare più di un anno per mandare poi al voto con una nuova legge elettorale. Quanto poi alla sinistra di Fabrizio Barca, o si aggrega al carro del sindaco e dei suoi redivivi numi tutelari oppure può anche far fagotto; come non dispiacerebbe alla sinistra di Sel, propensa a aggregare una formazione in scia a Barca già in corso di legislatura.

Vigenti le dimissioni dalla segreteria di Pierluigi Bersani “da un minuto dopo” l’elezione di Napolitano alla successione di se stesso, martedì è convocata la direzione del Pd per definire la composizione del comitato cui sarà affidata la “reggenza” del partito, nonché la delegazione incaricata di svolgere le nuove consultazioni per la formazione del governo. La direzione dovrà inoltre stabilire l’indirizzo politico da affidare agli incaricati delle consultazioni, ma si tratterà certamente di un mandato ampio rimesso per intero alla “saggezza” e le determinazioni del presidente.

GOVERNO CANCELLIERI – Per cominciare, però, il Pd deve riuscire a doppiare lo scoglio del governo. Il motivo per cui le proteste per l’elezione di Napolitano hanno visto andare in cenere tessere del partito è legato al sospetto che il capo dello Stato abbia posto come condizione per la propria rielezione anche la formazione di una maggioranza di governo di larghe intese. E, quali che siano i giudizi sulla decisione di Napolitano, le larghe intese vanno di traverso a una gran parte della base democratica. Ma così è. “Chiusa la stagione Monti”, come riconoscono i più, il capo dello stato affiderebbe volentieri il governo a Giuliano Amato; che peraltro vedeva bene anche come proprio successore. Ma sul dottor sottile il Carroccio non sente ragioni, e il Cavaliere non fa un passo senza l’alleato leghista. Berlusconi vorrebbe un governo con esponenti politici di tutti i partiti, a cominciare dal segretario Angelino Alfano. Il Pd, al contrario, ha bisogno ella minore visibilità possibile nell’esecutivo. Anche l’ipotesi che il vicesegretario Enrico Letta possa andare a palazzo Chigi, quindi, non è così scontata. Tanto per cominciare i renziani imputano a Letta di “avere le medesime responsabilità di Bersani”, come osserva da Firenze il fedelissimo Erasmo D’Angelis. E “semmai Letta dovrà prendere la reggenza in qualità di vice”, nota un altro fiorentino, ma dalemiano, come Michele Ventura. La guida del governo potrebbe perciò essere assunta da Anna Maria Cancellieri, che per il Pd è sicuramente la candidatura più indolore. A quel punto i partiti potrebbero essere rappresentati nel governo dai saggi, come Luciano Violante e Gaetano Quagliariello, oppure da altri esponenti lontani da ruoli dirigenti.

RISCHIO SCISSIONE SULLA FIDUCIA – Non è impossibile che il Pd si divida già sulla fiducia al governo. E’ l’accelerazione che probabilmente si augura anche la sinistra vendoliana di Sel dopo aver sostenuto all’ultimo scrutinio la candidatura di Stefano Rodotà, vagheggiando già in corso di legislatura la formazione di uno spicchio di emiciclo alla sinistra del Pd e aperto al dialogo coi 5 stelle come sul nome di Rodotà. Sennonché il partito si è ricompattato su Napolitano, lasciando solo 10 voti al giurista, per quanto Fabrizio Barca avesse dato voce alle perplessità definendo “incomprensibile” il fatto che il partito non sostenesse Rodotà o Emma Bonino. Le parole del ministro sono risultate intempestive anche agli occhi di chi guardava a lui con l’obiettivo di formare una componente si sinistra interna al partito. Gli unici a compiacersene sono appunto i renziani. “Potrebbe addirittura nascere una formazione di sinistra che unisca Vendola, l’area Ingroia e la parte più grillina della sinistra Pd – si augurano i fedelissimi del sindaco – rendendo così possibile la vera nascita di un Pd riformista e innovatore”. L’idea di separare “i merli con i merli e i passeri con i passeri”, come disse Armando Cossutta annunciando la nascita del Prc, serpeggi già da un po’ nel Pd. E le europee del 2014 potrebbero essere l’occasione perché le famiglie politiche eterogenee che compongono il Pd tornino alle rispettive case socialista e popolare. Tuttavia non è facile come sembra che le politiche si svolgano in concomitanza con le europee. E’ più probabile che la data slitti di un anno. Senza contare che gli ex pci superstiti nel Pd ormai sono i primi in fila per affiliarsi a Renzi.

RENZI SEGRETARIO, D’ALEMA PRESIDENTE? – Lo sganciamento della sinistra è semmai quel che si augura il sindaco di Firenze, convinto da sempre di non poter tentare la scalata a palazzo Chigi a prescindere dal Pd e ora anche dai maggiorenti, come D’Alema e gli ex popolari, che ha cercato di “rottamare” con meno successo di quanto apparso. Perché sono proprio loro che, dopo averlo stoppato coi franchi tiratori, adesso si propongono di portare Renzi alla guida prima del partito e poi del governo. Magari per avere in cambio dopo il voto l’elezione al Quirinale di D’Alema, un laico rispetto al cattolico Renzi, l’unico nome, insieme a Amato, sui cui il sindaco ha detto “non ci sono veti”. L’aveva detto il fedelissimo Matteo Richetti che il siluramento di Prodi fosse “anche un segnale contro Renzi”. E lo confermano tutte le analisi: “I 101 contro Prodi sono stati un voto scientifico contro Matteo Renzi”, calcola il deputato fiorentino Filippo Fossati. Dunque i voti delle componenti ex popolare e ex comunista, dalemiani in primis, che insieme ai giovani turchi e non solo avrebbero così inteso dimostrare al sindaco di Firenze che senza il loro benestare l’ascesa al Pd non ha speranza.

LA REGGENZA E IL CONGRESSO – Adesso la parola passa al congresso. “Da un minuto dopo” la rielezione di Napolitano sono infatti divenute effettive le dimissioni di Bersani. Sulla carta la reggenza passa al vice Letta, al quale si imputano non meno responsabilità che al segretario e che dovrebbe perciò prendere l’onere di reggere il partito anziché l’onore di guidare il governo. Anche la presidente Rosi Bindi è dimissionaria, potrebbe comunque essere convocata l’assemblea di circa 3mila persone per eleggere un segretario provvisorio o affidarsi a Letta per traghettare il partito al congresso, come accadde con Dario Franceschini dopo le dimissioni di Walter Veltroni. A meno che non si decida di chiedere a Bersani di restare fino a ottobre. Ne discuterà una direzione che sarà convocata già martedì, visto che occorrerà discutere anche e sopratutto del governo e della maggioranza. Poi, appunto, il congresso. Le procedure prevedono la convocazione di una direzione che stabilisca la data entro cui chiudere il tesseramento, poi vanno convocati i congressi di circolo per le candidature e si tiene una convenzione che stabilisce la data delle primarie. Da lì occorrono 20 giorni per formare le liste: quelle in cui le diverse componenti – dai dalemiani agli ex popolari ai giovani turchi – sosterranno la candidatura di Renzi alla leadership.