Nello stabilimento di Copparo nel ferrarese si fermano per otto ore gli operai che stanno entrando in mobilità. La solidarietà dei copparesi con loro in piazza. Fiom: "L'azienda ha un piano industriale? Non scherziamo fanno macelleria sociale"
La protesta degli operai Berco arriva fino al cuore del paese di Copparo. C’è voglia di gridare. Ma quello che si alza da piazza del Popolo è un peana, non un canto del cigno. “La battaglia è solo all’inizio” scandisce al megafono il segretario della Fiom ferrarese Mario Nardini. Sono in centinaia i manifestanti che hanno aderito allo sciopero di otto ore dello stabilimento della Berco di Copparo. Una mobilitazione decisa dopo l’annuncio a sorpresa dell’avvio della procedura di mobilità per 611 persone nei tre stabilimenti di Copparo (il maggiore centro metalmeccanico della regione, Imola e Castelfranco Veneto; manca all’appello Busano Canavese, prossimo alla chiusura). All’inizio il numero degli esuberi doveva essere solo un’ipotesi. Un’ipotesi da trattare sul tavolo del ministero di fronte al nuovo piano industriale dei vertici neoassunti dalla casa madre ThyssenKrupp, il vicepresidente Franco Tatò e l’amministratore delegato Lucia Morselli.
E, invece, alla vigilia dell’incontro, arriva il fermi tutti. I rappresentanti degli enti locali se ne possono stare a casa. La mobilità è già stata decisa, inaudita altera parte. Piano industriale? Nessuno ha visto niente, confermano i sindacati, gli unici presenti nella Capitale. Una decisione battezzata come “irresponsabile”, “un comportamento violento”, dallo stesso Mise, solito a esternazioni ben più diplomatiche. “Siamo di fronte a una società che vuole fare una cura dimagrante per poi vendersi al miglior offerente – rincara la dose Nardini, della Fiom di Ferrara -. Questa è gente che non gliene frega niente del territorio e ancor meno delle persone. Viene per fare macelleria sociale e, compiuta la missione, se ne va”.
Intanto il 30 aprile, tra pochi giorni, scadrà la cassa integrazione. Poi ci saranno i 75 giorni concessi dalla legge per trovare un accordo. Ma è ovvio che ora le basi sulle quali trattare sono alquanto differenti. “Una trattativa con esuberi da trattare è altra cosa rispetto a una trattativa con gli esuberi già decisi” conferma Nardini, che a questo punto deve fare di pessimismo virtù: “l’iniziale disponibilità al dialogo è stata solo una finta; ora salta fuori la vera faccia dei nostri interlocutori”.
Interlocutori che a tutt’oggi non hanno fatto sapere nulla delle reali volontà del gruppo. Chiare sono invece le intenzioni dei lavoratori di Copparo: “Non mollare”. E per dimostrarlo, dopo il presidio di fronte allo stabilimento che fu leader mondiale nel settore dei cingolati, hanno marciato con una fila lunga e silenziosa fino al centro del paese. Quel paese che attraverso la Berco, fondata qui nel 1918, è cresciuto e ha prosperato. Poi gli anni bui. Latte Ala, Bbs Riva e Corte Bianca, altri baluardi dell’industria copparese, hanno chiuso. E ora la fabbrica simbolo che stringe la cinghia. Fino a soffocare 611 lavoratori.
E così in piazza del Popolo alla manifestazione si sono aggiunti tantissimi cittadini. Perché – lo spiega un anziano sotto al palco – sanno che “la Berco è anche nostra”.