Se la “forma” di governo della Repubblica Italiana è rimasta la stessa, repubblica parlamentare, da ieri, dopo le “condizioni “ di Napolitano, può a mio avviso ritenersi che è cambiata la “formula” di governo e che l’Italia sia divenuta una repubblica semipresidenziale “di fatto”.
Infatti, la repubblica semipresidenziale si connota di queste caratteristiche: il potere esecutivo è condiviso con il Primo Ministro che però può essere scelto e revocato dal capo di Stato; il Primo Ministro ed il Governo possono essere sfiduciati dal Parlamento e revocati dal Presidente; quest’ultimo non è ovviamente sfiduciabile e lo scioglimento del Parlamento da parte del Presidente della Repubblica avviene nei limiti costituzionali. Difetta nel nostro caso solo l’ultima caratteristica della Repubblica semipresidenziale: cioè l’elezione diretta ed autonoma del Presidente della Repubblica con voto popolare.
Questo a mio avviso consente di ritenere che formalmente non è cambiata la forma di governo, ma nella sostanza sì.
Invero, la situazione di fatto determinata dalla contingenza politica (cioè l’impossibilità di eleggere un nuovo capo dello Stato e fare un governo, come riconosciuto dai partiti che sono saliti al Quirinale a chiedere al presidente Napolitano la sua rielezione) è stata “gestita” dal Presidente della Repubblica in carica, poi rieletto, dettando precise condizioni:
a) che sia seguito il programma di riforme da Egli già sollecitato durante il primo mandato (che è un potere certamente non attribuito al capo dello Stato dall’art. 87 della Costituzione, ma che compete al Governo ed al Parlamento);
b) pena le sue dimissioni (che comporterebbero di fatto l’immediato determinarsi della predetta situazione di ingovernabilità denunciata): testualmente Napolitano ha detto che ne trarrà le dovute conseguenze, ma credo che non vi sia dubbio che si riferisse alle sue dimissioni;
c) potrà essere egli stesso (come avvenuto con il Governo Monti) a scegliere il Governo, imponendo di fatto la fiducia al Parlamento, pena le sue dimissioni.
In sostanza, credo si possa concludere che da ieri l’Italia, pur mantenendo la forma astratta della Repubblica Parlamentare (senza quindi la elezione diretta del Capo di Stato), è divenuta ex facto una “repubblica semipresidenziale a costituzione invariata”, con la detta anomalia della mancanza di una elezione diretta del capo dello Stato, che è quindi privo di legittimazione popolare, pur esercitando il potere connesso alla nuova “formula” di governo del Paese. Questo sistema fa sì che il Presidente abbia la possibilità di indirizzare politicamente il governo e di non essere solo un garante al di sopra delle parti.
Ma vi è una ulteriore grave implicazione: se una parte del Parlamento avesse il dubbio che sussista un’ipotesi di un attentato alla Costituzione (cioè una violazione delle norme costituzionali tale da stravolgere i caratteri essenziali dell’ordinamento al fine di sovvertirlo con metodi non consentiti dalla Costituzione) dovrebbe attendere che la maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune apra la procedura di messa in stato di accusa prevista dalla nostra costituzione per il giudizio di responsabilità del capo dello Stato, maggioranza che, però, è di fatto condizionata proprio dal Capo dello Stato, proprio per quanto detto sopra.
Si è quindi creato, a mio avviso, un corto circuito istituzionale che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana.