Nella medicina è in corso una rivoluzione chiamata “medicina di genere”, un approccio che studia l’influenza del sesso e del genere su fisiologia, fisiopatologia, clinica, diagnostica, terapia e mortalità. Questa rivoluzione richiede nuova ricerca e nuova sperimentazione, sia in medicina sia in farmacologia. Si iscrive in questo ambito la conferenza “Sex or gender differences in medicine” che si tiene oggi il 24 aprile all’Università di Milano. Il workshop è organizzato all’interno del progetto “Stages” (Structural transformation to achieve gender equality in science, ndr) della Commissione europea, lanciato il 2 gennaio dello scorso anno e finalizzato ad affrontare le disuguaglianze di genere in ambito scientifico. 

Per capire che cosa sia la medicina di genere e a che punto si trovi la ricerca abbiamo interpellato la dottoressa Giovannella Baggio, presidente del “Centro studi nazionale su salute e medicina di genere“, membro del comitato direttivo della “International society for gender medicine” e direttrice dell’Unità di medicina generale dell’Azienda ospedaliera di Padova.

La professoressa Giovannella Baggio

Come nasce la medicina di genere?
Si deve tutto alla cardiologa statunitense Bernardine Healy, che nel 1991 denunciò la scarsissima presenza di donne nei protocolli di ricerca in un articolo intitolato ‘La sindrome di Yentl’. L’accoglienza da parte dei medici maschi fu fredda o addirittura polemica.

Qual è la novità?
La fine di un modello: per decenni la maggior parte degli studi è stata condotta prevalentemente sugli uomini, trasferendo poi i risultati alle donne, nonostante le numerose differenze anatomiche ed elettrofisiologiche tra maschi e femmine. Solo in due casi le donne sono state studiate più degli uomini: la depressione e l’osteoporosi. C’è un enorme vuoto da colmare in medicina e le case farmaceutiche sono in allarme, temono di trovarsi a vendere farmaci che potrebbero non essere più validi per la metà della popolazione.

Perché le donne sono state escluse quasi completamente dalla ricerca e dalla sperimentazione?
Per ragioni culturali e pratiche. Da una parte, la donna è stata penalizzata dalla “sindrome del bikini”: lo stereotipo di genere che la riduceva alla funzione riproduttiva ha indotto a focalizzarsi sull’apparato genitale e gli organi sessuali; dall’altra, la sua ciclicità biologica la rende un oggetto di studio complesso. Inoltre, talvolta la somministrazione di farmaci in età fertile può essere pericolosa.

Quali sono le conseguenze di questa discriminazione?
Errori nelle fasi di prevenzione, diagnosi e cura e sofferenza nella vecchiaia: le donne hanno un’aspettativa di vita più lunga degli uomini, ma gli anni che guadagnano sono anni di malattia, in particolare di patologie cardiache e artrosiche.

A che punto siamo in Italia?
Il 27 marzo 2012 la Camera ha approvato una mozione sulla medicina di genere che impegna il governo a intervenire per favorire formazione e ricerca, anche attraverso incentivi fiscali. La mozione prevede, inoltre, la stesura di linee guida per la sperimentazione in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e l’Agenzia italiana del farmaco, che ha già istituito il Gruppo di lavoro su farmaci e genere.

Di che cosa ha bisogno la ricerca?
Siamo in una situazione di emergenza: occorre fare rete per non disperdere le energie e naturalmente servono fondi, che al momento sono molto scarsi.

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