Fiat non è più dipendente dall’Italia. Questo è quanto è stato affermato dall’amministratore del gruppo, Sergio Marchionne. La casa torinese dunque ha spostato il centro della propria attività verso l’America ed è anche per questa ragione che sta superando meglio la crisi economica europea. Tuttavia rimane il settimo produttore globale e il limite di 6 milioni di veicoli, indicato dallo stesso Marchionne come soglia di sopravvivenza, è ancora molto lontano, dato che nel 2012 il gruppo ha venduto 4,2 milioni di veicoli.

I problemi di Fiat, negli ultimi anni, sono sempre venuti dal “fronte europeo”, mentre l’americana Chrysler continuava a crescere e a macinare i profitti necessari a salvare la casa madre. Per questa ragione la notizia del ritiro di oltre 260mila veicoli da parte della casa di Detroit per problemi elettronici e meccanici rischia di essere un problema importante per la casa torinese. Come ha insegnato anche il caso Toyota nel recente passato, costretta a ritirare di centinaia di migliaia di vetture negli Stati Uniti, le crisi di credibilità comportano una caduta delle vendite nel breve e medio periodo. È certo possibile recuperare le quote di mercato, ma non è facile.

E tutto questo accade appunto mentre Fiat non è più dipendente dal mercato italiano, con le vendite italiane della casa torinese che sono solo il 12 per cento del totale. Molto più importante è il mercato statunitense, grazie alla crescita a doppia cifra registrata negli ultimi anni da parte di Chrysler, o quello brasiliano, dove il gruppo storicamente vanta una posizione di leadership. Il centro degli affari per Fiat, quindi, non è più Torino.

Quali saranno le conseguenze di questo? Recentemente Fiat ha aggiornato le stime sui tempi previsti per rilevare la quota del capitale di Chrysler ancora in mano ai sindacati americani che non hanno nessuna intenzione di fare regali all’Italia. Secondo le nuove previsioni di Marchionne, questo dovrebbe avvenire entro il giugno del 2014, ma è certo che Fiat avrebbe voluto trovare un accordo prima con la controparte. Non sarà facile perché le due valutazioni della quota di oltre il 40 per cento della casa di Detroit sono totalmente divergenti, con Fiat che vorrebbe pagare poco più di un terzo di quanto richiesto dai sindacati americani.

Un accordo verrà molto probabilmente trovato e Torino salirà quasi certamente al 100% di Chrysler, ma con questa mossa non si risolveranno i problemi globali del gruppo torinese. Si, Marchionne ha ripetuto che gli utili lo scorso anno hanno raggiunto livelli record e al contempo il costruttore è diventato il settimo al mondo, ma è tutto oro quello che luccica?

In primo luogo c’è il mercato europeo che vede una forte contrazione e la quota di Fiat è ormai stabilmente il 7 per cento. La crisi economica è dura per tutti i costruttori, ma per Fiat l’impatto è stato maggiore, anche perché il mercato italiano è uno di quelli che ha maggiormente sofferto. Nei primi due mesi dell’anno, mentre il mercato cadeva del 9,5 per cento, le vendite di Fiat Group diminuivano del 14 per cento.

L’unico mercato positivo, a parte quello americano, è quello brasiliano. Il governo di Dilma Rousseff è in difficoltà con un tasso di inflazione troppo elevato ed il Prodotto interno lordo che ha rallentato la sua corsa. Per questa ragione la leader del Partito dei lavoratori ha sussidiato il settore auto con grandi incentivi. Questa politica, fortemente criticata da Marchionne in Europa, ma non in Brasile, avrà degli effetti fortemente negativi nel medio periodo, perché gli aiuti di Stato si sono sempre rivelati come una droga che non hanno risolto i problemi di un determinato settore dell’economia.

Lo insegna lo stesso caso francese che, dopo gli aiuti di miliardi di euro ai costruttori domestici negli anni scorsi, deve far fronte a una Peugeot ancora in forte crisi con dei tagli del personale che saranno inevitabili. Tutto questo genererà un altro esborso di altri miliardi di euro per i contribuenti francesiI punti dolenti di Fiat tuttavia derivano dagli altri Paesi in via di sviluppo. In Cina, il principale mercato mondiale, la casa torinese ha una presenza risibile. Volkswagen ha capito da anni che il mercato si sarebbe spostato verso Oriente, e oggi la prima piazza della casa automobilistica tedesca non è più la Germania, ma proprio la Cina.

Fiat rimane dunque abbastanza forte nel mercato americano, meridionale e settentrionale, ma le prospettive rischiano di essere negative nel medio periodo con la crisi brasiliana e con i problemi ai veicoli Chrysler. In Europa, invece, le perdite difficilmente verranno risanate nel breve-medio periodo. Mentre gli unici mercati in crescita, quelli asiatici, non vedono la presenza della casa automobilistica torinese. E così le nubi all’orizzonte di Fiat rischiano di essere molto cupe.

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