E anche la Francia, dopo Olanda, Belgio, Spagna, Portogallo, Svezia, Norvegia, Islanda e Danimarca (e presto anche il Regno Unito), si è dotata di una legge sul riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
La legge, denominata Mariage pour tous (Matrimonio per tutti) può così sintetizzarsi:
- Due persone dello stesso sesso, al pari di due persone di sesso opposto, possono ora contrarre matrimonio;
- Possono sposarsi in Francia anche le coppie di cui uno o entrambi gli sposi sono cittadini stranieri, anche se la legge nazionale di ciascuno di loro non lo consente;
- Ciascuno sposo acquisisce il nome dell’altro, in sostituzione o in aggiunta al proprio
- Le coppie dello stesso sesso sposate possono adottare;
- Il figlio adottivo acquisisce il cognome scelto da entrambi i genitori tra i cognomi di entrambi o solo di uno di loro (in caso di disaccordo, prende il cognome di entrambi in ordine alfabetico).
I grandi esclusi dalla legge sono però l’accesso alla procreazione medicalmente assistita e alla maternità surrogata. La prima consente alle coppie lesbiche di avere un figlio, mentre la seconda serve soprattutto alle coppie gay. Per legiferare sul tema sarà infatti necessario attendere, per la procreazione medicalmente assistita, la riforma del diritto di famiglia, mentre per la maternità surrogata (gestation pour autrui) il Presidente Hollande ha dichiarato che durante il suo mandato il Parlamento non dovrebbe intervenire in materia.
Dunque, una legge semplice nello scopo (combattere una discriminazione) ma elaborata nel contenuto, soprattutto perché interviene a disciplinare alcuni aspetti normativi attinenti al sistema previdenziale e alle amministrazioni locali. Incidentalmente, la legge modifica il codice del lavoro (Code du travail), disponendo che non possa subire alcun trattamento discriminatorio o licenziamento il lavoratore che si sia rifiutato di trasferirsi in un Paese “incriminant l’homosexualité“.
Già si sono scatenate le reazioni, com’era da aspettarsi.
A parte le minacce di “sangue” provenienti da sedicenti gruppi di tutela familiare e/o cattolici (o pseudo-tali), che dovrebbero farci riflettere sulla carica di violenza che si nasconde dietro a taluni messaggi di coloro i quali sono contrari all’estensione del matrimonio alle persone dello stesso sesso ed usano a loro vantaggio argomentazioni ridicole sulle prospettive di sfacelo della famiglia o distruzione della società civile (tutte smentite dall’esperienza, peraltro), alcuni costituzionalisti si sono trincerati dietro alla possibilità di obiezione di coscienza per i sindaci. Si tratta della stessa obiezione, che però è espressamente prevista per i medici e il personale sanitario, vigente in materia di interruzione volontaria della gravidanza. Anche la legge dello stato di New York del luglio 2011 prevede una tale possibilità in capo alle organizzazioni di natura religiosa, che però non compare nel testo di legge francese.
In effetti, poiché impedire a una coppia di sposarsi incide sui suoi diritti fondamentali, l’obiezione di coscienza non dovrebbe essere consentita ai sindaci, che comunque sono nella posizione di poter delegare la celebrazione ad altri consiglieri comunali. M’immagino la situazione di due uomini o donne che vogliono sposarsi nel loro comune di residenza, governato da un sindaco che vuole far valere l’obiezione di coscienza.
C’è poi da chiedersi con quale coscienza si potrebbe obiettare. Non è chiaro in base a quale principio morale si potrebbe negare a due persone che si amano di sposarsi. Che cos’è veramente in gioco? Quello che qualcuno definisce il “bene comune” della società – che evidentemente è comune solo agli omofobi e agli eterosessuali – oppure una gigantesca e secolare discriminazione, spesso intrisa di violenza psicologica, e anche fisica talvolta, alla quale non solo è opportuno ma pure necessario porre fine una volta per tutte?