Si chiama "Sids" e colpisce circa 1000 bambini all'anno che muoiono all'improvviso, senza apparente motivazione. Tuttavia, nonostante i numeri siano rilevanti, spesso manca l'informazione primaria. Così chi è stato colpito dal lutto si organizza per aiutare altri madri e padri attraverso una rete di sostegno concreto
Circa mille bambini muoiono ogni anno in Italia, praticamente inspiegabilmente, all’improvviso, senza apparente motivazione. Più di due al giorno.
Può accadere dal momento della nascita fino all’anno di vita, con una maggior frequenza tra i maschi fino al quinto mese. Si chiama Sids (Sindrome della morte improvvisa del lattante, ndr) ed è la prima causa di morte tra i lattanti.
Troppo spesso l’enorme dolore che vivono i loro genitori si alimenta con la mancanza di spiegazioni. Un episodio a cui non si sa dare risposta. Le strutture sanitarie ancora oggi non sembrano in grado di fronteggiare la situazione. E’ successo a Silvia e Gianvito. Il loro piccolo Andrea di 4 mesi è deceduto il 17 marzo 2013 in un importante ospedale di Milano. Racconta Silvia: “Quella notte nessuno mi ha parlato di Sids, di questa ipotesi. Purtroppo l’ho scoperto solo con l’autospia, dopo una settimana che ho vissuto con tremendi sensi di colpa. Nessuno mi ha informato o consigliato, ci siamo sentiti abbandonati.”
Katiuscia de Leonibus ha perso la sua Alice nel 2005. Da allora il suo dolore è diventato utile per qualcuno. Ha creato l’associazione Antisids che aiuta i genitori proprio nell’affrontare il lutto: li sostiene nel momento importante in cui, magari, si trovano a dover gestire altre gravidanze, o fratellini e sorelline con il quale non si sa come comportarsi.
Cittadini che si aiutano, si sostengono e si autofinanziano. Sì, perché in questo Paese non è facile parlare né della morte pre o perinatale, né tantomeno della morte dei neonati. Troppo spesso è un tabù.
Eppure qualche accorgimento esiste e sarebbe bene che le famiglie ne fossero a conoscenza: far dormire il bambino in posizione supina (a pancia in su), non farlo dormire in ambienti troppo caldi (non più di 20 gradi), non fumare, fargli utilizzare il ciuccio, non farlo dormire nel lettone dei genitori. Non sono medicine ma consigli utili, che statisticamente hanno ridotto nel mondo le morti bianche della Sids. Katiuscia si batte ogni giorno per far arrivare queste informazioni alle nuove famiglie: ammonisce le aziende che vendono prodotti per puericultura quando ancora oggi utilizzano delle immagini con neonati che dormono a pancia in giù. La sua battaglia la affronta da sola, insieme a suo marito. Lei ha avuto bisogno di un sostegno psicologico privato, e molto spesso si chiede come fanno quelle famiglie che non ne hanno la possibilità economica.
“Con il dolore della perdita si può imparare a convivere – dice Katiuscia – ma ancora manca una rete di sostegno e aiuto concreto. Addirittura l’ospedale dopo qualche mese dalla morte di Alice mi ha chiamata per sapere come stava andando lo svezzamento. Non avevano registrato la sua morte. I canali di informazioni sono fermi e cosi ci si sente ancora più soli. Dopo la morte di Alice ho scoperto di essere incinta. Mi sono sentita dire che non era piú opportuno parlare di ció che mi era accaduto, come stavo facendo in giro per l’Italia attraverso l’associazione. Ma parlarne invece può aiutare chi subisce queste disgrazie a non sentirsi diverso, e a rendersi utile informando i futuri genitori sui possibili metodi di prevenzione“.
Oltre all’associazione Antisids fondata da Katiuscia, a Varese è presente il Centro di ricerca sulla Sids. La dottoressa Luana Nosetti racconta la sua battaglia: “Se ci fosse una rete sanitaria regionale che funzionasse davvero i genitori potrebbero non sentirsi così isolati. Uno dei tanti problemi è riuscire a fargli capire che non devono sentirsi in colpa, che purtroppo è una cosa che può accadere. Il nostro Centro di ricerca aiuta attraverso il sostegno psicologico e accompagna i genitori qualora volessero provare ad affrontare un’altra gravidanza. E’ importante sapere che i bambini che arriveranno dopo hanno bisogno di essere monitorati cardiologicamente e tutta la famiglia ha necessità di affrontare un percorso per convivere con il lutto“.