Il vaticanista del Tg1 traccia una storia delle finanze vaticane dell'ultimo secolo e fa emergere tutte le contraddizioni tra il dettato evangelico e la gestione economica della Chiesa di Roma. Anche e soprattutto durante il Pontificato di Ratzinger, in particolare per colpa dell'operato del suo Segretario di Stato, il salesiano Tarcisio Bertone
“Non possedendo le normali risorse di cui solitamente dispongono gli altri Stati, il Vaticano ha potuto fare una sola cosa: diventare uno speculatore”. A scriverlo è il vaticanista del Tg1 Aldo Maria Valli nel suo nuovo libro Il forzieri dei papi. Storia, volti e misteri dello IOR, edito dall’Ancora, che uscirà in libreria il 24 aprile e che ilfattoquotidiano.it ha letto in anteprima. Il Vaticano, scrive il giornalista, “disponendo di beni mobili e immobili, ha cercato di farli fruttare. Così alla speculazione in senso filosofico e teologico, attività più che lecita, si è affiancata quella economica e finanziaria. Lecita anch’essa, ovviamente. Ma fortemente esposta alla possibilità di degenerare in qualcosa di illecito”.
Quella scritta da Valli è una storia delle finanze vaticane dell’ultimo secolo che fa emergere tutte le contraddizioni tra il dettato evangelico e la gestione economica della Chiesa di Roma. Contraddizioni emerse anche durante il pontificato di Benedetto XVI, in particolare, come risulta anche dalle pagine del vaticanista, per colpa dell’operato del suo Segretario di Stato, il salesiano Tarcisio Bertone. E che stonano totalmente con i primi atti di Papa Francesco, ma soprattutto con il suo programma di governo esposto in maniera semplice e chiara: “Vorrei una Chiesa povera e per i poveri”.
Valli parte dall’ultimo atto sullo Ior del regno di Benedetto XVI. “Quattro giorni dopo le dimissioni del papa – scrive il giornalista – in una situazione di sconcerto e sbandamento generale, la prima preoccupazione della Curia romana non è stata quella di rivolgere un messaggio al popolo di Dio, né quella di chiedere di recitare preghiere e rosari. Macché. Per prima cosa si è provveduto a scegliere il presidente dello Ior, facendo anche entrare nel board ‘laico’ il finanziere belga Bernard De Corte in sostituzione di Ronaldo Hermann Schmitz, ex amministratore delegato di Deutsche bank, guarda caso l’istituto di credito che gestiva, fino al blocco di Bankitalia, i bancomat del Vaticano. E, subito dopo, – prosegue il vaticanista – a rinnovare la commissione cardinalizia dello Ior medesimo (confermando fino al 2018 il presidente Bertone e i tre porporati Tauran, Scherer e Toppo, e sostituendo il capo dell’Aif Nicora – ufficialmente per incompatibilità con il suo ruolo di controllo sull’operato dell’Istituto – con il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Apsa). La domanda – scrive ancora Valli – sorge spontanea: visto che ormai era trascorso un bel lasso di tempo dalla defenestrazione di Gotti Tedeschi, non si poteva aspettare un altro po’ e lasciare queste decisioni al nuovo papa? No, si è voluto chiudere la faccenda in fretta e furia, lanciando così un segnale inequivocabile: ecco che la vecchia ‘classe dirigente’, prima di essere totalmente azzerata dalla rinuncia del papa, ha voluto risolvere la questione a modo suo”.
Dopo la defenestrazione dell’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, sfiduciato con un voto unanime del consiglio di sovrintendenza della banca vaticana il 24 maggio 2012, in Vaticano hanno impiegato quasi nove mesi per trovare il suo successore: Ernest Von Freyberg. “Un signore – scrive Valli – che sarà anche un cattolico a tutto tondo e un ottimo conoscitore di cose finanziarie ma, dettaglio non da poco, è presidente di un cantiere navale che, insieme a navi da crociera e splendidi yacht, produce anche fregate per la marina germanica”. “Visto che il Vaticano, per trovare il successore di Gotti Tedeschi, ha esaminato, attraverso una società specializzata, i profili di almeno quaranta candidati, non si poteva – si domanda il giornalista – prestare un po’ più di attenzione a quella faccenda delle navi da guerra?”.
A consigliare Bertone di scegliere Gotti Tedeschi, racconta Valli, fu anche Marco Simeon, “considerato l”ambasciatore’ del banchiere Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, in Vaticano”. Classe 1977, laureato in diritto canonico con una tesi sul ruolo del segretario di Stato, dopo aver curato i rapporti istituzionali del gruppo bancario Capitalia e di Mediobanca, sempre alle dipendenze di Geronzi, dalla fine di ottobre del 2009 è direttore delle relazioni istituzionali e internazionali della Rai e dal luglio 2010 al febbraio 2012 ha guidato anche la struttura Rai Vaticano. E’ “considerato molto vicino a importanti cardinali quali il segretario di Stato Tarcisio Bertone, il prefetto della Congregazione per il clero Mauro Piacenza e l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei Angelo Bagnasco“.
Appena nominato a capo dello Ior, Gotti Tedeschi, racconta Valli, partecipa, a Milano, al “conclave della finanza bianca”: un incontro riservato del gotha dell’economia e dell’imprenditoria di ispirazione cattolica. Con il neopresidente dello Ior ci sono Giampiero Pesenti, Giovanni Bazoli, Francesco Merloni, Emilio Riva, Giuseppe Guzzetti, Roberto Mazzotta, Alberto Quadrio Curzio. Ci sono anche il futuro ministro Corrado Passera, il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei, il notaio Giuseppe Camadini (che morirà nel 2012, a ottantuno anni, dopo una vita dedicata alla finanza cattolica), Giovanni De Censi del Credito valtellinese, Guido Leoni della Banca popolare dell’Emilia Romagna. “La novità – spiega Valli – è di grande rilievo: per la prima volta il Vaticano si rivolge a una vasta schiera di laici cattolici, professionisti di provata capacità, chiedendo la loro collaborazione in vista di un rilancio non solo dei bilanci, ma anche dell’immagine della Santa Sede sotto il profilo economico. La presenza di Gotti Tedeschi nel consesso ha quasi il sapore dell’investitura, ma è difficile non accorgersi di un’assenza clamorosa: quella di Angelo Caloia“.
Il libro di Valli si chiude con l’ultimo “mistero” della finanza vaticana datato gennaio 2013. Con l’inizio del nuovo anno, infatti, non è più possibile effettuare, entro le mura leonine, pagamenti con il sistema Pos che permette di utilizzare carte di credito e bancomat. “Tutto nasce – racconta il giornalista – dal rifiuto della Banca d’Italia di autorizzare Deutsche bank Italia a operare in Vaticano. E poiché è proprio la banca tedesca, fin dal 1997, a gestire i Pos nel piccolo Stato, ecco spiegato il blocco. Secondo la Banca d’Italia – sottolinea Valli – il Vaticano non possiede una legislazione bancaria e finanziaria adeguata, né un sistema di vigilanza corrispondente alla normativa internazionale, specie in materia di antiriciclaggio. C’è, in altre parole, un deficit di trasparenza e mancano, nel controllo dei flussi di informazioni, i necessari meccanismi di reciprocità. Si viene anche a sapere – scrive ancora Valli – che già nel 2010 la Banca d’Italia aveva contestato alla filiale italiana della Deutsche bank l’utilizzo da parte di uno Stato extracomunitario, quale il Vaticano, di usare i terminali installati all’interno del suo territorio in mancanza dell’autorizzazione prevista dal Testo Unico Bancario, ovvero la normativa che disciplina l’attività degli istituti di credito e la vigilanza nei loro confronti.
In un’intervista del 13 gennaio 2013 René Bruelhart, responsabile dell’Autorità di informazione finanziaria vaticana, si dice ‘veramente sorpreso’ dalle misure adottate dalla Banca d’Italia, facendo notare che la Santa Sede nell’estate del 2012 ha superato ‘il terzo round di valutazione del comitato Moneyval del Consiglio d’Europa con una buona pagella di nove raccomandazioni cruciali ottemperate su sedici’, tanto che ‘il Vaticano non è stato sottoposto ad alcuna procedura o misura speciale di monitoraggio’. Ma evidentemente – sottolinea Valli – ciò che è sufficiente per l’organismo europeo non lo è per la Banca d’Italia. La situazione si sblocca dopo un mese, il 12 febbraio, con l’affidamento del servizio di pagamento tramite Pos a una società svizzera, la Aduno. In ogni caso, anche dopo la soluzione del caso, resta un altro capitolo del braccio di ferro in corso fra il Vaticano, l’autorità di vigilanza bancaria e la magistratura italiana. Davvero lontani – conclude Valli – i tempi in cui lo Ior operava liberamente e senza controlli, utilizzando conti italiani senza comunicare i veri intestatari dei fondi”.
@FrancescoGrana