“Ogni persona normale può compiere qualcosa di straordinario. Io ne sono la dimostrazione”. Juliana Buhring è autrice insieme alle sue sorelle Kristina e Celeste Jones di “Essere innocenti“, libro uscito il 20 aprile anche in Italia per le edizioni Menthalia. Il volume, pubblicato per la prima volta nel 2006 in Inghilterra con il titolo “Not without my sisters“, è stato bestseller per quindici settimane e tradotto poi in dieci lingue. Le tre sorelle raccontano in prima persona la lotta per fuggire dalla setta “I bambini di Dio”. Tre sorelle che parlano di un’infanzia trascorsa subendo torture fisiche e mentali, controllo del pensiero, abusi sessuali. E poi: negazione dell’accesso all’istruzione, alle cure mediche; obbligo di mendicare per le strade; botte giustificate da “punizione” per “crimini” come leggere un’enciclopedia. Strappate l’una all’altra in tenera età riuscirono poi a riunirsi.
“I bambini di Dio è una setta religiosa nata negli anni ’60 in California che unisce il credo cattolico al libero amore dei movimenti hippie. L’istruzione era a cura dei veterani e basata esclusivamente sulla Bibbia”, si legge nel libro. Al suo interno si rifiuta l’uso dei contraccettivi, tanto che Juliana Buhring conta ben 18 tra fratelli e sorelle. A soli tre anni viene separata dalla madre malata, forzatamente allontanata dalla setta e vive seguendo il padre, speaker della radio della setta, attraverso 30 diversi Paesi tra Asia, Africa e Europa. Fino a quando, nel 2004 riesce ad abbandonare la setta per raggiungere due delle sue sorelle in Inghilterra. Con “Not without my sisters” chiude tutti i rapporti con la setta e con i familiari che ne facevano ancora parte. Viene tacciata di diavoleria, ma il suo libro riesce a dare una forte scossa a I bambini di Dio, che oggi non esistono più. “Quando ho visto i miei fratelli andare a scuola ho capito che avevo raggiunto il mio obiettivo: sconfiggere l’ignoranza“.
Dopo l’esperienza che ha segnato la sua vita, la Buhring ha intrapreso la sua battaglia a favore dei diritti dei minori cresciuti in ambienti difficili. Cofondatrice e direttrice dell’associazione “Safe passage foundation” per raccogliere fondi per i bambini, la donna ha deciso di pedalare per il mondo. Greca di nascita e napoletana d’adozione, entrerà nel guinness dei primati per aver percorso 29.000 chilometri, attraversando 18 Paesi in 4 continenti. Un omaggio alla città di Napoli, scelta come punto di partenza il 23 luglio 2012 e di arrivo lo scorso 22 dicembre.
L’idea di pedalare per il mondo nasce dopo un viaggio in bicicletta da Berlino a Copenaghen con il fidanzato Antonio. “Tornata a casa ho fatto una ricerca su internet: nessuna donna aveva girato il mondo in bici – racconta la Buhring – Così mi sono detta: voglio essere la prima”.
Tutti gli uomini che in passato hanno compiuto la sua stessa impresa, lo hanno fatto con uno sponsor alle spalle. Lei ce l’ha fatta da sola, con otto mesi di allenamento, utilizzando fondi personali e con l’aiuto della gente che l’ha seguita sul suo sito e sui social network (Twitter e Facebook). Esauriti i soldi stava per tornare a casa quando, lanciato un appello in rete, ha ricevuto donazioni e supporto morale.
“Prima di partire tutti mi dicevano: “Non sei pronta, non sei un’atleta e non hai nemmeno i soldi”. Eppure per strada ho sempre trovato qualcuno pronto a darmi una mano. Voglio lasciare un messaggio positivo. Ho ricevuto aiuto, persino quando i fenomeni atmosferici mi hanno spaventato. Una notte, in Nuova Zelanda mi sono persa. C’era un vento fortissimo. Per fortuna due vecchietti mi hanno ospita nel loro camper”. Spesso mi è stato chiesto se ho avuto paura. Ho sempre risposto che forse il mondo è migliore di quel che credono”.