La Festa della Liberazione celebra l’anniversario della Resistenza e rappresenta un giorno fondamentale per la storia d’Italia, poiché evoca la fine dell’occupazione nazista (nonché il termine del ventennio fascista). Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, presieduto anche da Sandro Pertini, alle 8 del mattino del 25 aprile 1945 via radio proclamò ufficialmente l’insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del Clnai e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti. Vennero presto liberate Genova, Verona e Venezia. La Liberazione mette così fine ad una lunga dittatura e darà il via al referendum del 2 giugno 1946 per la scelta contrapposta fra monarchia e repubblica, a seguito del quale nascerà la Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della Costituzione. Nacque la Repubblica parlamentare e non certo una Repubblica Presidenziale (oggi balbettata e in parte realizzata), con ben altri pesi ed equilibri.
Oggi, mi pare che ci sia in una situazione ben peggiore. Ma non vorrei essere troppo ottimista, indi mi scuso con i lettori. Infatti il nostro è un Paese occupato da decenni da una classe politica di: lestofanti (mi limito a cotale aggettivo); inamovibile (pure a suon di condanne penali o della Corte dei Conti, già ammansueta); che si autoriproduce per partogenesi (avendo blindato il sistema elettorale, annichilendo il voto degli elettori); gerontocratica (si pensi al fulgido Giorgio Napolitano, il quale fa politica dal 1946 ed è parlamentare dall’età di 28 anni); isolata dalla società civile (oramai composta da disadattati sociali che vivono in un mondo dorato a nostre spese da decenni); affaristica (poiché hanno ampiamente dimostrato di non perseguire il bene comune ma i propri beni); mediocre (poiché non ci troveremmo nella grave situazione in cui siamo, con il terzo debito pubblico più esteso al mondo, con le maggiori disuguaglianze, con il fisco più aggressivo e col prelievo maggiore, con la giustizia tra le più lente, con i diritti ridotti a simulacri); non lungimirante (avesse perseguito gli interessi privati, seguendo al meglio quelli pubblici, perlomeno sarebbero stati avveduti); collusa con la criminalità organizzata (come dimostrano le tante indagini in corso e le centinaia di segreti di Stato secretati e tumulati, l’unica speranza è che qualcuno estragga l’hard disk dalla gobba del centenario tuttora vegeto, poi analizzandolo a lungo); arrogante e oltraggiosa (come dimostra la rielezione di Napolitano, celebrata come un grande successo).
In breve, l’occupazione nazista e la lunga dittatura sono oggi ben rappresentate – in una sorta di plastico vespasiano (il neologismo si presta ad un duplice rimando) – dalla partitocrazia che si è resa tale (autoritaria e capace di espropriare la democrazia) nei decenni, al pari di una stilla di veleno inoculata ogni giorno (una sorta di cantarella). Una democrazia surrogata da pochi partiti, sorretti da qualche segretario (ergo comandata da poche persone), che hanno inciuciato gravemente in danno del popolo, chiamato al ruolo di comprimario con la leggenda del bipolarismo, dell’alternanza, dell’opposizione costruttiva, dei sacrifici necessari, del “ce lo chiede l’Europa”, dell’ultima manovra e basta, del ridondante programma esposto a Ballarò (a ben vedere del nulla, avete mai sentito fare proposte concrete e poi tradurle l’indomani in azioni?).
Una partitocrazia che è divenuta dittatura dolce (mal mostosa direi), anche col consenso del popolo sedato (una parte, di suo, in quanto ben specchiatasi in tale classe di malfattori) e che lentamente, mattoncino di Lego dopo l’altro ha realizzato un sistema di legalità formale (agevolando e creando privilegi, demolendo lo Stato di diritto, demolendo i diritti, generando gravi diseguaglianze) ben divaricata rispetto alla legalità sostanziale. In questi decenni il programma politico è stato consumato, al pari di un delitto immondo: la giustizia è stata demolita; la Repubblica è af-fondata sul lavoro; lo Stato sociale è scomparso; l’istruzione è stata demolita; il fisco è una gioiosa macchina da guerra verso i deboli e ammiccante verso i forti e i furbi; le bellezze del Paese consumate (paesaggio, beni culturali); il Pil è stato saccheggiato (miliardi tra tangenti e sprechi parassitari); i forti, i ricchi e i furbi lo sono ancora di più (dalla classe politica sino alle banche). La partitocrazia italiana è un mostruoso leviatano che tenta di sopravvivere, attenzione!
Anche Saviano ieri a Servizio Pubblico ha lanciato un monito: scrollatevi e cambiate questa dittatura. Penso che sia giunta l’ora di scendere in piazza a milioni e di starci finché non se ne andranno. Ma prima di andarsene dovranno restituirci il maltolto. Purtroppo non è populismo ma realismo. Se vogliamo un mondo diverso dobbiamo alzarci e costruirlo, non solo invocarlo.