Sarà che l’imprinting lo dà la stampa italiana. Ma la stampa estera è già tutta una ‘letteide’, proprio come, 18 mesi or sono, nel novembre 2011, era tutta una ‘monteide’ e, solo la settimana scorsa, era tutta una ‘giorgeide’. Questa volta, però, con meno deferenza: i media internazionali fanno il tifo perché il tentativo di formare il governo riesca, ma sono concordi nel sostenere che questa partita l’ha vinta Silvio Berlusconi.
Per il Times, il Cavaliere “torna al top”; mentre, per il Time, “il gioco è nelle mani di Berlusconi”. E, fra gli sconfitti, i corrispondenti esteri cominciano a collocare pure Beppe Grillo: Le Monde sentenzia, nella scia delle polemiche sul 25 Aprile, che “le provocazioni” del leader del M5S “non fanno più titolo”; e un blog sul Financial Times si domanda se la “bolla” del Movimento “stia scoppiando”.
Del resto, neppure i partner europei, concordi nell’auspicare che l’Italia si dia un governo, sono poi unanimi nel promettere rose e fiori all’esecutivo Letta: la Germania già spegne le attese del premier che verrà d’allentamento del rigore; e Olanda e Finlandia le tengono, come sempre, bordone.
Naturalmente, la stampa estera ha il problema di spiegare chi è ‘sto Letta, “un moderato pacato –scrive il WSJ- con legami nell’emiciclo”, le cui “chances di successo –nota l’FT- dipendono molto dall’autorità che gli deriva dall’essere stato nominato da Napolitano. Il presidente della Repubblica è emerso come ‘il più potente politico italiano’, estendendo le sue prerogative costituzionali ai limiti di … un temporaneo passaggio da un sistema parlamentare a uno presidenziale”.
Non mancano dubbi e interrogativi, specie da parte britannica: nei commenti, ci si chiede quanto questo “matrimonio forzato” delle larghe intese durerà, mentre i servizi di cronaca riferiscono, come fa la Bbc, che “la problematica coalizione” sta “prendendo forma”. In un editoriale dal titolo “Il momento di Enrico Letta”, il Financial Times scrive: “E’ pure possibile che non riesca a formare un esecutivo. E, comunque, il suo governo difficilmente durerà a lungo. Se riesce a formarlo, dovrebbe dare la priorità alle riforme politiche rispetto a cambiamenti di politica economica”, perché lì sarebbe più difficile “costruire un consenso”. “Idealmente –nota il quotidiano economico-, l’Italia ha bisogno di un governo forte per varare riforme economiche. Ma questo non è disponibile. Letta dovrebbe puntare a una nuova soluzione politica che spiani la strada a cambiamenti economici significativi”.
L’approccio critico dell’FT segue d’un giorno un articolo di Guy Dinmore, corrispondente da Roma, “Letta chiede di allentare le politiche d’austerità”: “La prospettiva di un nuovo governo in Italia –riferiva Dinmore- spinge i mercati al rialzo ed è ben vista dalla stampa internazionale, anche se molti commentatori dubitano che questo governo duri a lungo”.
L’Economist propone l’equazione “Vecchio presidente, nuovo premier, stessi problemi per l’Italia”. Il nuovo governo appare al settimanale piuttosto promettente, ma il suo mandato dovrebbe essere breve: gli italiani dovranno probabilmente tornare alle urne presto “data la nota instabilità politica”. Ma un altro articolo della stessa rivista rovescia, per una volta l’abusato aforisma del Gattopardo “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Ora, invece, gli strateghi dell’operazione Letta avrebbero fatto in modo che le cose restino com’erano perché possano cambiare. Ma è davvero così?