Di ritorno dalla Cina, ancora frastornato per il cambio di fuso orario, mi trovo di fronte a una situazione politica nazionale davvero raccapricciante. Era però tutto sommato prevedibile. Ha alla fine prevalso, nelle eterogenee file del Pd, il peso dell’establishment da sempre propenso a sciagurate ammucchiate consociative con la destra e con Monti.
Si tratta del resto degli stessi personaggi che non hanno perso occasione, in passato, per salvare il soldato Berlusconi evitando sistematicamente di affrontare in modo risoluto i molteplici problemi di natura politica e giuridica creati dallo stesso e dell’aggregazione attorno a lui della peggiore formazione politica esistente a livello europeo.
Ora è definitivamente chiaro a tutti perché l’Italia, fra la sorpresa e i lazzi del mondo intero, continui a soffrire del fenomeno Berlusconi. Ciò avviene perché, a monte di tale fenomeno, esiste un Pd in sua non trascurabile parte affetto dalle stesse patologie politiche, in termini di corruzione e rappresentanza di interessi consolidati che costituiscono un ostacolo enorme a ogni futuro per il nostro Paese. E comunque votato a compromissorie alleanze senza principi la cui unica ratio è la salvaguardia ad ogni costo di un sistema politico, economico e sociale che fa acqua da tutte le parti e di cui la maggioranza degli italiani vuole disfarsi una volta per tutte.
Il senso profondo di questa scelta sciagurata è quello di una resa senza condizioni alla governabilità fine a se stessa, nel segno della continuità con il disastroso governo Monti ma, se possibile, con un ruolo ancora più incisivo ed egemone del Caimano. Ed anche quello del tradimento delle aspirazioni a un effettivo cambiamento espresse da milioni di elettori che hanno in buona fede votato per il Pd alle ultime elezioni.
L’alternativa era a portata di mano. Sarebbe bastato appoggiare la proposta, formulata dal Movimento Cinque Stelle, dell’autorevole candidatura di Stefano Rodotà, in precedenza del resto avanzata da varie organizzazioni e settori importanti del nostro Paese. Invece hanno scelto il compromesso, la continuità e l’inciucio senza principi con la destra peggiore che il nostro Paese abbia mai conosciuto. Inevitabile conseguenza: l’attribuzione a Enrico Letta (nipote di tanto zio) di un governo nel quale Berlusconi è destinato ancora una volta a svolgere un ruolo dominante. Il programma è chiaro: salvare Berlusconi, evitare ogni legge seria contro criminalità, corruzione e conflitto d’interessi, far pagare la crisi agli stessi di sempre (donne, lavoratori, pensionati, giovani, piccoli imprenditori), imporre le grandi opere a tutti i costi, salvaguardare gli interessi degli intoccabili (caste, cricche e coste).
Non c’è più spazio per un partito insulso e gelatinoso come il Pd sulla scena politica italiana, la cui ragione d’essere ultima è quella di garantire un’immeritata sopravvivenza al berlusconismo e al montismo.
Per affrontare l’attuale momento di estrema difficoltà che il Paese sta attraversando, sono necessarie politiche ispirate ai principi dell’equità sociale e della condivisione dei costi della crisi, di investimento nel sociale e nella tutela dei beni comuni. Proprio l’opposto di quanto le forze ammucchiate oggi attorno a Napolitano, senza alcun principio che non sia la difesa del loro ruolo istituzionale oramai disfunzionale e votato alla difesa ad ogni costo del vecchio ordine, si siano dimostrate in grado di fare da almeno vent’anni a questa parte.
E’ ora di cambiare. E il cambiamento, sia ben chiaro, è solo rimandato. Né vi saranno ammucchiate partitiche in grado di contenerlo. In questo senso occorre dissentire da Beppe Grillo. Il 25 aprile non è morto, ma anzi è più vivo che mai, perché del suo spirito si fanno interpreti forze che scaturiscono dal vivo del nostro popolo, chiedendo a gran voce una nuova stagione politica di effettiva democrazia. Muoia definitivamente il Pd, ritorni la sinistra, ritrovando le ragioni della propria storia e andando a un rapporto fecondo, dialettico e costruttivo con le nuove realtà come il Movimento Cinque Stelle.