Prendi una ragazzina di dodici anni, che vive a Taranto con la sua famiglia, genitori e due fratellini. Mettila in un contesto degradato, dove la violenza non è solo fuori, ma anche dentro i luoghi che dovrebbero proteggerla: la scuola, i servizi sociali, i tribunali. Il risultato è una tragedia, e una figlia persa per sempre.

La copertina di "Io so' Carmela"

La storia di Carmela Cirella, diventata prima un libro scritto dal padre Alfonso Frassanito e poi un disco del musicista Luca Lattanzio, oggi è anche una graphic novel, scritta da Alessia Di Giovanni e illustrata da Monica Barengo (edizioni Becco Giallo, con licenza creative commons): “Io so’ Carmela”, affermazione da cui è tratto anche il nome dell’associazione, fondata dai genitori per difendere i minori: non solo dalla violenza “dell’uomo nero”, ma anche, ad esempio, da quella nascosta di istituti che somministrano psicofarmaci senza il consenso dei genitori. «”Io so’ Carmela” era un’espressione che nostra figlia usava tantissimo con significati diversi – raccontano i genitori – Quando si sentiva esclusa, per richiedere attenzione, oppure a mo’ di vanto quando si sentiva non all’altezza della situazione, o anche per farsi coraggio da sola nell’affrontare problemi». E di quella frase erano disseminati i suoi quaderni, libri e anche il suo diario, ritrovato in un cestino dopo la morte, sul quale si è basata la sceneggiatura del fumetto.

Cosa è successo, precisamente, a Carmela? A lungo importunata, nel 2005 (quando aveva dodici anni), da un giovane ufficiale napoletano, che la segue sotto casa e scuola, comincia una serie di colloqui con uno psicologo della Asl. A novembre dello stesso anno, dopo una fuga da casa, in due giorni subisce una serie interminabile di violenze: da parte di due ragazzi minorenni e di un pregiudicato di 46 anni prima, successivamente da due ambulanti di 27 e 26 anni. Ritrovata traumatizzata dai genitori, denuncia le violenza alla polizia con nomi e luoghi.

Un'immagine da "Io so' Carmela"

A quel punto inizia una lunga catena di errori e indifferenze, che faranno precipitare la situazione. Il tribunale dei minori e gli assistenti sociali, che ritengono Carmela “disturbata”, la fanno ricoverare, nel gennaio 2007 nel centro per minori Aurora di Lecce. Qui viene mal curata, senza autorizzazione dei genitori, con una terapia di psicofarmaci ritenuta poi dannosa anche dagli operatori del successivo centro dove Carmela viene spostata (Il Sipario di Gravina). Il padre, attraverso il tribunale dei minori, cerca in tutti i modi di riportarla a casa, ma il 15 aprile successivo Carmela si uccide gettandosi dal settimo piano di un palazzo nel quartiere Paolo VI di Taranto.

A sei anni dalla morte, né i minori che l’hanno stuprata, e che in tribunale l’accusano di essere stata consenziente, né gli altri violentatori hanno ancora ricevuto condanne. Il padre ha denunciato servizi sociali e tribunale, e chiesto invano aiuto alla Commissione bicamerale per l’infanzia e all’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano. «Quando ho incontrato il padre di Carmela, una persona combattiva, con un’umanità che ti avvolge, ho capito che dove cominciare a raccontare la storia di questa ragazzina – spiega la sceneggiatrice Alessia Di Giovanni, che insieme alla giovanissima Monica Barengo ha voluto creare un personaggio che fosse in qualche modo universale – La storia di chi subisce una violenza e non sa neanche identificarla, non sa di essere una vittima».

In questi anni, la famiglia di Carmela ha subito un ulteriore, amaro, paradosso, perché il processo per sua figlia si svolge nello stesso tribunale in cui si sono svolte le udienze del processo sul caso di Sarah Scazzi, per cui la zia Cosma Serrano e la nipote Sabrina Misseri sono state condannate all’ergastolo. «Sembra di essere a Hollywood – si è chiesto esasperato il papà – ma dove sono le luci della ribalta quando la giustizia la si chiede per Carmela e tante altre vittime come lei?». E sul sito dell’associazione, insieme alla moglie, scrive: «La nostra triste vicenda ci ha fatto capire quanto siamo messi male nel nostro Paese per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e civili dei minori».

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