La somma era intestata a Michelangelo Manini, l'imprenditore morto un anno fa, che aveva lasciato il patrimonio della sua azienda di cancelli automatici all'Arcidiocesi di Bologna, scatenando le ire dei parenti: "'Impossibile porli sotto sequestro perché via Altabella aveva cambiato l’intestazione del conto, vantandone titolo e diritti''
La Curia, un’eredità miliardaria e un ricco conto in Svizzera. La vicenda della mega eredità della multinazionale Faac rivela ogni giorno nuove sorprese. Ora spunta un conto all’estero da 22 milioni e 900 mila euro in una banca svizzera di Lugano. L’intestataria è l’Arcidiocesi di Bologna e quella somma arriva direttamente dal patrimonio di Michelangelo Manini, l’imprenditore morto un anno fa lasciando su questo mondo un impero economico, costruito con le fortune dell’azienda dei cancelli automatici.
Da marzo 2012, quando ne è venuta in possesso, la Curia non aveva mai riportato quella somma in Italia. ”Il conto in Svizzera lo aveva già Manini, in maniera legittima e documentata, poi è passato alla Curia”, spiega al fattoquotidiano.it l’avvocato dell’arcidiocesi Michele Sesta. Il legale poi spiega anche i motivi per cui quei soldi non sono tornati nel nostro Paese da un anno a questa parte: ”In questa situazione la Curia non ne ha disposto, non ha utilizzato quei soldi e quindi il conto è rimasto lì com’era senza alcuna operazione”.
In realtà anche un altro conto di Manini era all’estero al momento della morte del manager: 250 mila dollari a Pamplona, in Spagna. Ma quei soldi sono stati subito convogliati in Italia dall’Arcidiocesi e sequestrati. Diversa la situazione del conto elvetico. Secondo i parenti di Manini quei soldi ”non era stato possibile porli sotto sequestro perché la Curia aveva cambiato l’intestazione del conto, vantandone titolo e diritti”. Ora con la comunicazione dei nuovi dati, anche quei 23 milioni dovrebbero finire sotto custodia giudiziaria.
Il giudice del tribunale civile di Bologna Maria Fiammetta Squarzoni il 26 marzo scorso aveva invitato la Curia bolognese a trasferire su un conto corrente e su un deposito titoli ad hoc 36,5 milioni, dispersi tra i diversi conti a lei intestati e che mancavano ai 122 milioni che erano nell’inventario dei beni di Manini. Non solo, il magistrato aveva chiesto all’Arcidiocesi, guidata dal cardinale Carlo Caffarra, di indicare il numero del conto corrente nel quale aveva depositato 14,5 milioni, corrispondenti ai dividendi della Faac.
Tutto infatti è attualmente sotto sequestro, nell’ambito del procedimento sull’eredità della multinazionale che circa un anno fa, alla morte del patron Michelangelo Manini, venne lasciata all’arcidiocesi di Bologna con un testamento che i parenti di Manini hanno poi impugnato. Proprio in attesa del processo che deciderà chi erediterà l’azienda leader dei cancelli automatici, le azioni di Manini della Faac (66 %) e tutto il suo patrimonio (si parla di 1,7 milioni di euro) sono stati sequestrati e affidati a un custode, il professor Paolo Bastia, non senza una strenua opposizione dei legali della Curia.
Ora quei soldi chiesti alcune settimane fa sembrano finalmente essere stati messi a disposizione, ma durante l’udienza l’avvocato dei parenti, Rosa Mauro, ha chiesto di quel conto in Svizzera intestato a Manini. E la Curia ha spiegato che il conto da 22 milioni di euro è sempre lì, nella stessa banca della città elvetica, anche se nel frattempo l’Arcidiocesi si è intestata la titolarità. Al Fatto quotidiano il legale della Curia assicura che non ci sono altri conti esteri intestati alla Chiesa: ”C’è solo un rapporto assicurativo aperto all’estero, una cosa un po’ particolare, che poi è rimasta com’era con Manini”, spiega Sesta. Il rapporto assicurativo è in Lussemburgo e anche questo è finito nell’inventario del custode giudiziario. ”Spesso non siamo d’accordo col giudice”, conclude l’avvocato Sesta. ”Tuttavia abbiamo sempre ottemperato alle sue decisioni”.
Con un fatturato di oltre 200 milioni nel 2011 e 1.400 dipendenti in tutto il mondo, l’azienda Faac di Zola Predosa è uno leader del mercato dei cancelli automatici. Michelangelo Manini al momento della morte possedeva ancora il 66% dell’impero fondato dal padre Giuseppe nel 1965, il restante 34 % è dei francesi della Somfy. Con il sequestro delle azioni Manini alla fine del 2012 e con l’arrivo del custode giudiziario, il cda dell’azienda, in cui la Curia aveva nel frattempo messo i suoi uomini, non è stato modificato, ma gli utili rimarranno in mano al custode.