Gli obiettivi elencati dal nuovo esecutivo sono molto ambiziosi, ma non è chiaro come saranno finanziati. L'abolizione dell'Imu costerà 4 miliardi, mentre per la rinuncia all'inasprimento dell'Iva serviranno 2,1 miliardi. E il reddito minimo per le famiglie porterà via oltre 5 miliardi
Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha toccato tutti i principali problemi del Paese nel lungo elenco di riforme presentato per chiedere la fiducia alla Camera. Ma le promesse, soprattutto di politica economica, sono molto ambiziose. Al punto che per essere realizzate serviranno oltre 20 miliardi di euro. Alcune questioni – dall’Imu all’Iva, dalla cig agli esodati e i precari della pubblica amministrazione – dovranno essere affrontate immediatamente perché presentano scadenze precise, mentre altre potranno essere rinviate ad un secondo momento. Il vero problema, non affrontato nel discorso di Letta, è dove reperire i soldi per rispettare le promesse.
Il nuovo esecutivo dovrà partire da una delle manovre più discusse: l’abolizione dell’Imu. Il gettito sulla prima casa vale infatti 4 miliardi di euro e la sospensione della rata di giugno promessa da Letta riguarda il 50 per cento del totale. Il neo presidente dovrà quindi trovare 2 miliardi per bloccare il pagamento previsto per il prossimo mese. E, in un secondo momento, individuare dove reperire i fondi per una “riforma complessiva”.
Bisognerà poi lavorare per arrivare a una “rinuncia dell’inasprimento dell’Iva” che altrimenti scatterà a luglio e, come aveva preventivato il governo di Mario Monti, necessiterà di un introito aggiuntivo di 2,1 miliardi. Il capitolo fiscale, inoltre, comprende anche la Tares, la nuova tassa sui rifiuti e servizi, il cui pagamento è previsto a fine anno. Per eliminare anche questa imposta servirà un altro miliardo di euro.
Letta ha avvertito anche che “si potranno studiare forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli”. Una proposta che assomiglia al reddito di garanzia introdotto a Trento. L’onere complessivo esteso a tutta l’Italia, secondo una simulazione effettuata da LaVoce.info basandosi sul “modello Trento”, sarà quindi pari a circa 5,3 miliardi di euro.
Circa atri 2 miliardi di euro serviranno invece per il “superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione” promesso dal premier. Il nuovo esecutivo ha espresso inoltre l’esigenza di “rifinanziare la cassa integrazione in deroga”. Un’operazione che costerà, come dichiarato dall’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero, almeno 2,3 miliardi, perché “lo scenario di crisi e l’esperienza dello scorso anno ci indicano che la spesa non sarà più bassa del 2012”. Si tratta di una manovra che Letta non potrà rinviare, in quanto la cig è coperta soltanto fino a giugno.
Altro punto caldo affrontato dal presidente nel discorso in aula sono i lavoratori esodati, con cui “la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo governo”. Gli esodati già salvaguardati dal governo, secondo la Fornero, sono 130mila, ma ne restano fuori ancora parecchie migliaia. Secondo i dati Inps forniti sempre dall’ex ministro alla fine dell’anno scorso alla commissione Lavoro della Camera, ci sono altri 8.900 esodati che nel prossimo biennio maturano il diritto ad essere salvaguardati, per i quali servono risorse per 440,8 milioni. Senza trascurare che sul fronte del pubblico impiego resta anche il problema dello smaltimento degli esuberi, del blocco degli aumenti contrattuali e degli scatti di anzianità.
Sempre sul tema del lavoro, Letta ha promesso che “aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegni ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale”. Il capitolo sgravi per le assunzioni dei giovani, se verrà trattato da subito, necessiterà di almeno altri 2-3 miliardi di euro. A cui si dovranno aggungere le risorse per “ridurre le tasse sul lavoro stabile e sui giovani”.
Ma le promesse di Letta non finiscono qui. “Serve un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale”, ha avvertito il premier. Un’operazione da diversi miliardi di dollari. Il Partito democratico, negli otto punti proposti per il governo del cambiamento, prevedeva infatti 7 miliardi e mezzo di euro per un “piano triennale finalizzato a mettere in sicurezza le scuole del Paese e per edificarne di nuove che rispondano alle esigenze della nuova didattica”.
Il costo di altre operazioni è invece meno prevedibile, anche se inciderà sicuramente sui conti pubblici. Come, per esempio, il lancio di “un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca finanziato tramite project bonds” e la “modifica della legge 92 per ridurre le restrizioni ai contratti a termine”.
Occorre infine considerare anche le proposte del nuovo esecutivo volte a rafforzare le casse pubbliche. Per esempio la promessa di una lotta più severa all’evasione fiscale, “senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata”, oppure la riforma del finanziamento ai partiti annunciata dal presidente, che ha promesso “misure di controlo e di sanzione, anche sui gruppi parlamentari e regionali”. Altra voce positiva in bilancio sarà “l’abolizione definitiva delle province per ridurre i costi dello Stato”, che frutterà circa 2 miliardi. Entrate che, a occhio e croce, non basteranno però a compensare la spesa per l’ambizioso elenco di riforme economiche proposte dal premier.
di Francesco Tamburini