Mentre in Germania l'energia eolica e solare ha superato quella dei combustibili fossili, in Italia il carbone detta ancora legge. Nella riunione programmatica di oggi, Banca etica e gli ambientalisti attendono le risposte alle 70 domande inviate alla società
Un colosso dell’elettricità che non sa guardare al futuro, controllato da un governo (il ministero del Tesoro ha il 31,24% delle azioni) fossilizzato sul passato. E’ questa l’immagine impietosa che danno di Enel gli azionisti critici e gli attivisti dei comitati No carbone, arrivati oggi a Roma per l’assemblea. “Nel 2012, il 31,03% dell’energia elettrica prodotta complessivamente da Enel a livello globale è stato generato bruciando carbone, un dato in crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente”, spiega Andrea Baranes, presidente di Fondazione Culturale Responsabilità Etica (Banca Etica), che entrerà in assemblea come azionista. “Se si restringe il campo all’Italia, il dato è ancora più preoccupante. Dal 2010 al 2012 la percentuale di elettricità generata dal carbone è cresciuta del 14,3%, fino a raggiungere il 48,14% odierno. Nello stesso periodo le nuove rinnovabili (solare ed eolico) sono cresciute di appena l’1,5%”.
Lo sviluppo del carbone in Italia è affidato alle centrali di La Spezia, Civitavecchia, Porto Tolle, Rossano, Brindisi, attorno alle quali si sono organizzati comitati e movimenti di cittadini per protestare contro i rischi di mortalità e malattie indotti dalle emissioni di ossidi di zolfo e di azoto, PM10 e CO2. A nome di Greenpeace, Re:Common e dei comitati italiani, la Fondazione di Banca Etica ha inviato a Enel più di 70 domande. Eccone alcune: “Quali sono i costi operativi dell’impianto di La Spezia? Non sarebbe più conveniente chiudere l’unità a carbone e utilizzare in modo più efficiente le due unità a gas naturale già esistenti?”; “perché lo studio di impatto ambientale sull’impianto a carbone di Porto Tolle non presenta anche analisi di costi e benefici basate su altre opzioni?”; “in base a quali dati la società considera come non rilevante l’aumento di traffico marittimo – e i relativi impatti ambientali e sul paesaggio – dovuto alle chiatte che porteranno il carbone a Rossano, in Calabria?”. Su questi ed altri quesiti ci si attende una risposta entro la fine dell’assemblea di oggi (come prevedono le norme del Tuf, testo unico della finanza, per le società quotate in borsa).
I comitati italiani si ritrovano a combattere battaglie decennali, come quella contro il carbone a Civitavecchia, a due passi da Roma. “La nostra è la prima città nel Lazio e la terza in Italia per casi di tumori alle vie respiratorie”, spiega Simona Ricotti dei No Coke Alto Lazio, delegata a parlare all’assemblea dell’Enel in rappresentanza delle altre realtà italiane. L’autorizzazione integrata ambientale rilasciata lo scorso marzo non sembra risolvere il problema. Anzi, forse lo peggiora. Sono stati infatti innalzati i limiti di emissione di monossido di carbonio, mentre non è stato inserito lo sbarramento dello 0,3 per cento di zolfo nel carbone (fissato dal piano regionale per la qualità dell’aria).
Di stretta attualità l’incidente occorso all’impianto di La Spezia, dove lo scorso 26 marzo si è verificata una fuoriuscita di ceneri del carbone in seguito a “un’accidentale apertura di una valvola dell’impianto raccolta ceneri”. Ma già nel 2011 e nel 2012 una serie di emissioni ‘anomale’ avevano messo in allarme i cittadini spezzini, fino alla presentazione di un esposto alla magistratura. Le ceneri provenienti dalla combustione del carbone “possono essere riutilizzate nei materiali edili e nell’asfalto” e “non costituiscono rifiuti pericolosi”, precisa il ministero dell’Ambiente (DM 5 febbraio 1998). Ma i cittadini e il Comitato SpeziaViaDalCarbone non si fidano. Studi recenti, effettuati tra gli altri dalla U.S. Geological Survey, hanno mostrato che, con il tempo, dai derivati delle ceneri del carbone usati per il manto stradale, possono volatilizzarsi elementi cancerogeni, ai quali sembrano particolarmente esposti i bambini. Inoltre, le sostanze tossiche possono raggiungere le falde acquifere e contaminarle. Nel 2012 – sulla base delle ricerche della U.S. Geological Survey – in molti stati degli Usa (Texas, Washington, Minnesota, Illinois, Massachusetts) sono state presentate proposte di legge per vietare l’uso di ceneri del carbone per il manto stradale.
Per gli azionisti critici di Enel, la scelta del carbone potrebbe essere controproducente anche per ragioni economiche. “La produzione decentrata di energia grazie ai pannelli solari sui tetti, il mini-eolico, il mini-idroelettrico sta ribaltando il modello energetico costruito negli ultimi secoli intorno alle fonti fossili, ai grandi impianti, agli oligopoli”, spiega Baranes. “E’ in atto una rivoluzione, che Enel e il governo italiano che ne è l’azionista principale sembrano voler osservare in disparte: le nuove rinnovabili contribuiscono solo per il 3,14% al mix di produzione energetica della società a livello globale. La crescita dal 2011 al 2012 è stata inferiore all’1%. Il solare non è nemmeno indicato in bilancio tra le fonti che contribuiscono al mix di produzione”.
Intanto, il 18 aprile, in Germania le nuove rinnovabili hanno messo a segno un altro record. Secondo le rilevazioni dell’International Economic Platform for renewable energies (Iwr) su dati Eex (European Energy Exchange) per la prima volta in assoluto eolico e solare hanno prodotto ben 36.000 MW di energia elettrica, oltre metà dei 70.000 MW raggiunti complessivamente nel paese durante il picco di giornata. “Una capacità produttiva pari a oltre 30 centrali nucleari” – riporta e-gazette.it – che ha permesso il sorpasso storico dell’energia del sole e del vento sulle fonti fossili.
In Italia un traguardo del genere sembra ancora lontano. La nuova Sen (Strategia energetica nazionale), varata lo scorso 14 marzo dal governo uscente, non promette nulla di buono. “Non è stata fatta una vera scelta a favore di un modello basato su rinnovabili ed efficienza e non si è individuata una vera e propria strategia di transizione”, hanno dichiarato in un comunicato congiunto Greenpeace, Legambiente e WWF. La quota di carbone viene mantenuta stabile e le nuove forme di sostegno alla crescita delle rinnovabili rischiano di scomparire dalle bollette a vantaggio dei contributi ai rigassificatori. Alla fine la Sen potrebbe essere solamente “un modo per sostenere i soliti noti e non intaccare, anzi favorire gli interessi delle grandi lobby dei combustibili fossili”.
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